Da anni si sa che le microplastiche si accumulano nelle acque reflue, nei fiumi e, alla fine, negli oceani di tutto il mondo, ma è meno conosciuto e documentato il loro accumulo nell’atmosfera. Una ricerca dello scorso anno, coordinata dall’Università degli Studi di Milano e di Milano-Bicocca, per la prima volta in Italia inseriva nella lista dei “ritrovamenti” ad alta quota le microplastiche. I campionamenti realizzati nell’estate del 2018 sul Ghiacciaio dei Forni, nel Parco Nazionale dello Stelvio dal team di studiosi milanesi non lasciavano dubbi: “Dal ghiaccio emergono poliammide, polietilene e polipropilene, ovvero plastica […] nella misura di 75 particelle per ogni chilogrammo di sedimento, un dato comparabile al grado di contaminazione osservato in sedimenti marini e costieri Europei”. A poche settimane di distanza lo studio “Atmospheric transport and deposition of microplastics in a remote mountain catchment” pubblicato su Nature Goescience da un team di ricercatori francesi e britannici che avevano raccolto campioni di ghiaccio e terra in un’area montana dei Pirenei, accertava che anche in questa zona apparentemente incontaminata “si contano 365 depositi al giorno per metro quadro di microplastiche invisibili a occhio nudo”.
Come era facile immaginare l’inquinamento da microplastiche anche in contesti non antropizzati non è un privilegio solo di Alpi e Pirenei del Vecchio Continente. Lo studio “Plastic Rain in Protected Areas of the United States”, pubblicato su Science il 12 giugno da un team di ricercatori statunitensi guidato da Janice Brahney, del Department of watershed sciences dell’Utah State University, ha identificato campioni di microplastiche in 11 parchi nazionali e aree montane degli Stati Uniti occidentali. “Siamo rimasti scioccati dai tassi di deposizione stimati e abbiamo cercato di capire se i nostri calcoli fossero sbagliati. Purtroppo no. Attraverso 32 diverse scansioni di particelle, abbiamo accertato che circa il 4% delle particelle atmosferiche analizzate in questi siti remoti sono polimeri sintetici” ha dichiarato la Brahney. Il rapporto evidenzia come le microplastiche siano abbastanza piccole da essere facilmente trascinate nell’atmosfera, disperdendosi ben oltre i nostri centri abitati e, a causa della loro volatilità e longevità, possono diffondersi a spirale attraverso il sistema terrestre anche in luoghi incontaminati come i parchi naturali e le montagne.
Secondo gli autori dello studio è possibile stimare che “Ogni anno solo negli Stati Uniti occidentali si depositino più di 1.000 tonnellate di microplastiche, equivalenti a oltre 123 milioni di bottiglie d’acqua in plastica”. Un dato allarmante, visto che le dimensioni dei particolati osservati in natura sono simili a quelle che si possono accumulare nel tessuto polmonare e che la pervasiva presenza delle microplastiche nell’atmosfera ha conseguenze ancora sconosciute per la salute degli organismi viventi. Certo è che la deposizione di plastica in corso in alta quota e nelle aree protette può influenzare questi ecosistemi, entrando nella catena alimentare e alterando la composizione della comunità vivente. Per la Brahney “Questa ubiquità delle microplastiche nell’atmosfera e la successiva deposizione in ambienti terrestri e acquatici remoti destano ormai diffuse e concrete preoccupazioni ecologiche e sociali”. Per questo l’identificazione dei meccanismi chiave dell’emissione di plastica nell’atmosfera è un primo passo nello sviluppo di soluzioni su scala globale. Gli “altri passi” non possono prescindere da un’urgente riduzione dei rifiuti plastici attraverso il potenziamento dell’economia circolare e dalla sostenibilità delle nostre scelte come consumatori.
Alessandro Graziadei
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