Realizzata quasi esclusivamente con combustibili fossili, la plastica monouso è il tipo di plastica alieno a qualsiasi economia circolare e destinato a diventare rifiuto. Nel 2020 il rapporto “Breaking the Plastic Wave” realizzato dalla Pew Charitable Trusts e da SYSTEMIQ, ci spiegava che nel solo 2019 “più di 130 milioni di tonnellate di plastica monouso sono finite tra i rifiuti. Il 19% di questi rifiuti, circa 25 milioni di tonnellate metriche, è diventato inquinamento, scaricato nelle acque degli oceani o sulla terraferma, il che equivale al peso di oltre 23.000 balenottere azzurre, a significare l’entità della crisi, che sta già avendo devastanti conseguenze ecologiche, sociali e ambientali”. Ma chi sono i responsabili di questo scempio? Noi che la compriamo, una politica sempre troppo indulgente soprattutto quando di mezzo c’è il ricatto del lavoro e i produttori di plastica monouso, preoccupati solo di tutelare il loro profitto personale e mai la sostenibilità globale. La Minderoo Foundation ha pubblicato quest’anno il rapporto “Plastic Waste Makers Index: Revealing the source of the single-use plastics crisis” che rivela le fonti e la reale portata della crisi globale dei rifiuti di plastica e dimostra che su 100 compagnie che producono il 90% della plastica monouso del mondo, “20 multinazionali, supportate da un piccolo gruppo di finanziatori, sono le responsabili della produzione di oltre il 50% di plastica monouso usa e getta che finisce tra i rifiuti di tutto il mondo”.
Il rapporto, realizzato insieme a Wood Mackenzie, Planet Tracker, Neural Alpha, ai ricercatori del Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment, della London School of Economics e dello Stockholm Environment Institute, ha individuato un piccolo gruppo di compagnie petrolchimiche che producono la quasi totalità dei “polimeri” mondiali, l’elemento costitutivo della plastica. Sono la gigantesca multinazionale ExxonMobil che ne produce 5,9 milioni di tonnellate all'anno, seguita da vicino dall’azienda chimica statunitense Dow e dalla cinese Sinopec. Quasi il 60% dei finanziamenti per la produzione di questa plastica monouso, per un totale di 30 miliardi di dollari annui, proviene da sole 20 banche globali, con in testa Barclays, HSBC e Bank of America. Altri 20 asset manager, guidati dalle società statunitensi Vanguard Group, BlackRock e Capital Group, detengono azioni per un valore di oltre 300 miliardi di dollari nelle società madri di produttori di polimeri plastici e di questi, 10 miliardi di dollari sono direttamente collegati alla produzione di polimeri monouso.
Il problema è talmente ampio che la Minderoo Foundation ha investito molte energie nel Plastic Waste-Makers Index, un progetto dell’iniziativa No Plastic Waste che punta a creare un’economia della plastica veramente circolare, nella quale i combustibili fossili non vengono più utilizzati per produrla. Per il presidente e co-fondatore della Minderoo Foundation, Andrew Forrest, infatti, “La plastificazione dei nostri oceani e il riscaldamento del nostro pianeta sono tra le più grandi minacce che l’umanità e la natura abbiano mai affrontato. A meno che i leader di governo, del mondo degli affari e della finanzia non agiscano nell’interesse dei nostri figli e nipoti, gli sforzi globali non saranno sufficienti per invertire questa crisi". Questo significa "smettere di produrre nuova plastica e iniziare a utilizzare plastica riciclata, significa riassegnare il capitale dai produttori vergini a quelli che utilizzano materiali riciclati e, soprattutto, significa riprogettare la plastica in modo che non danneggi e sia compostabile, quindi come ogni altro elemento, ritorni alle sue molecole originali, non alle nano-plastiche. E dobbiamo agire adesso. Perché mentre litighiamo, gli oceani vengono spazzati via dalla plastica e l’ambiente viene distrutto dal riscaldamento globale”.
Per Toby Gardner, senior research fellow dello Stockholm Environment Institute, “Questa è la prima volta che i flussi finanziari e dei materiali della produzione di plastica monouso sono stati mappati a livello globale e ricondotti alla loro fonte. Non puoi gestire ciò che non puoi misurare. Basandosi sull’analisi pubblicata, questo è il motivo per cui è così importante che il piccolo gruppo di compagnie e banche che dominano la produzione globale di plastica usa e getta inizi a divulgare i propri dati”. Dello stesso avviso l’ex vicepresidente Usa Al Gore che ha sottolineato come “Individuare le cause profonde della crisi dei rifiuti di plastica ci consente di contribuire a risolverla. Le traiettorie della crisi climatica e della crisi dei rifiuti di plastica sono sorprendentemente simili e sempre più intrecciate. Poiché la consapevolezza del prezzo dell’inquinamento da plastica è cresciuta, l’industria petrolchimica ci ha detto che è colpa nostra e ha rivolto l’attenzione al cambiamento del comportamento da parte degli utenti finali di questi prodotti, piuttosto che affrontare il problema alla fonte”. Per la Fondazione Minderoo, ora, “Le società petrolchimiche devono essere obbligate a divulgare la loro impronta ecologica e impegnarsi a passare dai combustibili fossili a modelli circolari di produzione di plastica, mentre banche e investitori devono trasferire capitali solo su compagnie che utilizzano plastiche riciclate”.
Il rapporto mette anche a nudo la portata dell’inazione da parte dei produttori di plastica e il modo in cui stanno aggravando l’attuale crisi dei rifiuti di plastica usa e getta: “entro i prossimi 5 anni il consumo globale di plastica usa e getta dovrebbe aumentare del 30%, una crescita che porterà a 3 trilioni di singoli rifiuti di plastica usa e getta in più entro 2025”. Oggi la plastica riciclata o le materie prime rappresentano non più del 2% della produzione globale di plastica monouso, il che significa che il 98% di queste materie plastiche sono prodotte da combustibili fossili. Se consideriamo che la recessione economica globale causata dalla pandemia di coronavirus ha spinto al ribasso il prezzo del petrolio, rendendo la plastica monouso a base di combustibili fossili ancora più attraente dal punto di vista finanziario, è facile capire che il problema è tutt’altro che risolto. Il rapporto ci mostra anche quali Paesi contribuiscono maggiormente alla crisi della plastica usa e getta: “in testa ci sono l’Australia e gli Stati Uniti d’America che producono rispettivamente la maggior quantità di inquinamento da rifiuti di plastica monouso per abitante, con oltre 50 kg per persona all’anno. In confronto, una persona che vive in Cina, il più grande produttore di plastica monouso per volume, produce 18 kg di rifiuti di plastica monouso all’anno; in India si scende a soli 4 kg all’anno pro-capite”.
L’Italia è decima per produzione procapite di plastica monouso ed è tra i primi 20 produttori mondiali di plastica. Eppure al Governo c’è ancora chi orgogliosamente pensa che la Plastic tax sia un limite allo sviluppo, soprattutto in tempi di Covid-19. Per questo il provvedimento, in agenda sin dall’autunno 2019, che proverà a far pagare i costi ambientali a chi per anni ha consapevolmente contribuito all’inquinamento da plastica mondiale, slitterà di altri sei mesi ed entrerà in vigore (forse) il primo gennaio 2022 e non più in questo mese di luglio. Ma attenzione anche il Mondo è monouso e davanti alla scarsa lungimiranza della politica tocca a noi, con un consumo più consapevole e sostenibile, provare a salvarlo.
Alessandro Graziadei
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