La pandemia di Covid-19 ha negato il diritto allo studio ad un numero crescente di bambini, adesso destinati ad alimentare il mercato del lavoro minorile. Anche per questo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo), in collaborazione con la partnership globale Alliance 8.7, a gennaio di quest’anno ha dichiarato ufficialmente il 2021 l’Anno Internazionale per l’Eliminazione del Lavoro Minorile, con l’obiettivo di incoraggiare azioni legislative e politiche volte a sradicare la piaga del lavoro minorile in tutte le sue forme e in tutto il mondo entro il 2025, raggiungendo così l’obiettivo 8.7 degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. La proclamazione del 2021 come Anno Internazionale per l’Eliminazione del Lavoro Minorile era stata adottata all’unanimità in una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU nel 2019 e nel corso di quest’anno vari eventi verranno organizzati in tutto il mondo con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni su questo tema ponendo l’attenzione su un problema che riguarda nel mondo ben un bambino su dieci. L’iniziativa vuole provare ad affrontare il problema a tutti i livelli (internazionale, nazionale, provinciale, regionale, locale…) individuando azioni concrete da intraprendere entro la fine di dicembre 2021 per contribuire all’eradicazione del fenomeno e preparare il terreno per la quinta edizione della Conferenza Globale sul Lavoro Minorile che si terrà in Sudafrica nel 2022.
L’Ilo stima che oggi nel mondo vi siano almeno 160 milioni di bambini che lavorano, un dato che vede la crescita di 8,4 milioni di bambini negli ultimi quattro anni, anche se i dati nelle varie regioni del mondo sono ancora disomogenei: “Quasi la metà del lavoro minorile avviene in Africa (72 milioni di bambini), seguita da Asia e Pacifico (62 milioni). Il 70% dei bambini impiegati nel lavoro minorile lavora nel settore dell’agricoltura (principalmente nell’agricoltura di sussistenza e nell’agricoltura di mercato) e nell’allevamento di bestiame. Quasi la metà di questi bambini lavora in situazioni considerate pericolose per la loro salute e la loro vita”. Come se non bastasse la crisi sanitaria scatenata dalla pandemia di COVID-19 ha aumentato la povertà di queste popolazioni già vulnerabili e nei prossimi mesi potrebbe cancellare anni di progressi fatti nella lotta contro il lavoro minorile. Anche la chiusura delle scuole ha aggravato fortemente la situazione e milioni di bambini si trovano attualmente costretti a lavorare per contribuire al reddito familiare. Nonostante questa situazione critica il governo dello Sri Lanka già un anno fa aveva deciso di alzare l’età minima per il lavoro da 14 a 16 anni. Il cambiamento è avvenuto il 12 giugno in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, voluta dall’Onu fin dal 2002, con le parole d’ordine “Covid-19 – Proteggere i bambini dal lavoro minorile ora più che mai”. L’emendamento della legge sul lavoro operato dal governo di Colombo risponde all’esigenza di armonizzare l’età del lavoro con il percorso obbligatorio degli studi e le leggi del Paese con la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia.
Sempre secondo statistiche dell’Ilo, nel 2016 in Sri Lanka vi erano 103.704 minori al lavoro, una diminuzione drastica rispetto al decennio precedente, che si aggirava sul mezzo milione di lavoratori bambini. Sempre nel 2016, vi erano almeno 39mila minori impegnati in lavori ad alto rischio. La situazione di questi minori, impegnati soprattutto nella pesca, che serve a nutrire se stessi e la famiglia, ha dovuto fare i conti anche qui con la crisi di Covid-19 che ha ridotto le opportunità di lavoro per i genitori e ha spinto sempre più bambini verso il mondo del lavoro. Una situazione critica come quella del del Laos. Qui l’aumento del livello di povertà delle famiglie a seguito del Covid ha negato il diritto allo studio di un numero crescente di bambini, spingendoli fra le braccia di quanti sfruttano il lavoro minorile. La maggior parte è impiegata nei campi e nei terreni agricoli dagli stessi genitori e, nei casi peggiori, alcuni fra i più piccoli iniziano a lavorare prima ancora di frequentare le scuole elementari. Secondo Radio Free Asia (Rfa) “In Laos quasi il 30% dei minori fra i cinque e i 17 anni sono dediti a forme di lavoro fra le più varie, mentre il 25% non riesce nemmeno a completare il ciclo della scuola primaria o secondaria perché ha già un’occupazione a tempo pieno. La maggior parte di questi vive nelle zone agricole, dove si concentra oltre l’80% del totale della popolazione. Nove bambini su 10 sono impiegati nel settore agricolo, nella pesca o nelle foreste, mentre il 70% lavora più di 49 ore nell’arco della settimana”.
La gran parte dei bambini sfruttati in Laos provengono da comunità appartenenti alle minoranze etniche di fede cristiana, oggetto talvolta di persecuzioni da parte delle autorità. Un problema che non riguarda però solo la piccola nazione asiatica, perché in tutto il continente e nella regione del Pacifico, come abbiamo visto, sono almeno 62 milioni le vittime del lavoro minorile, pari alla somma delle popolazioni sotto i 14 anni di Filippine, Vietnam e Giappone. Secondo i dati del rapporto intitolato “Child Labour: Global estimates 2020, trends and the road forward” pubblicato quest’anno il 12 giugno, nella Giornata mondiale contro il lavoro minorile, ed elaborato dagli esperti delle agenzie Onu Unicef e Ilo, “milioni di minorenni sono a rischio a causa delle conseguenze della pandemia da Covid-19 sull’economia dei rispettivi Paesi, e per le situazioni familiari sempre più difficili”. Dallo studio emerge che, per la prima volta in 20 anni, "i progressi nella lotta al fenomeno sono entrati in una fase di stallo e che il trend di decrescita (fra il 2000 e il 2016 si registravano meno 94 milioni di minori vittime di lavoro minorile) pare essersi fermato e rischia di aumentare nell’immediato futuro".
Il rapporto mette in mostra un aumento significativo nel numero di bambini fra i 5 e gli 11 anni vittime di lavoro minorile, che ora rappresentano quasi la metà del totale. Intanto è cresciuto di 6,5 milioni, passando a 79 milioni rispetto alle stime del 2016, il dato relativo ai minori fra i 5 e i 17 anni impiegati in professioni considerate “rischiose” per la salute fisica e psicologica. Il peggioramento è evidente anche in aree che, fino al 2016, facevano registrare situazioni di progressivo miglioramento come l’Asia e l’America latina, dove è stato più evidente l’impatto di questo coronavirus sulla scolarizzazione dei bambini e l’ingresso precoce nel mercato del lavoro. A livello globale, a causa della pandemia, almeno nove milioni di bambini rischiano di essere avviati al lavoro minorile entro la fine del 2021 ed è possibile che il numero possa salire fino a 46 milioni se non vengono messe in atto, subito, politiche di tutela e di prevenzione adeguate.
Alessandro Graziadei
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