domenica 7 novembre 2021

Il law washing saudita

 

Secondo l’ultimo rapporto dell’ong israeliana Impact-se, impegnata nel monitoraggio della pace e della tolleranza culturale nell’educazione scolastica, nei libri di testo di primo e secondo grado utilizzati nel 2020-2021 negli istituti educativi del regno saudita, “I curricula scolastici stanno evolvendo verso una maggiore moderazione e apertura” a conferma di una tendenza in atto da alcuni anni, “sebbene permangano alcune aree di criticità in tema di genere, su Israele,  jihad e sionismo”. Se l’impianto educativo e la società, spiegano gli autori, “resta tradizionale”, vi è una “sostanziale mitigazione” nei confronti dei discorsi di odio verso “attori interni ed esterni”, come cristiani, ebrei, verso Israele e Iran, il rivale storico della regione. Un primo rapporto dell’organizzazione, che aveva preso in esame gli anni 2016-2020, aveva evidenziato già un primo miglioramento nei libri di testo, grazie anche al programma “Vision 2030” impresso al Paese dal principe ereditario Mohammad bin Salman. Un ulteriore aggiornamento, relativo al secondo semestre dello scorso anno e al primo del 2021, ha confermato che, pur tra molte difficoltà, la situazione evolve in positivo verso una crescente “moderazione” ed è possibile che nella strada per i diritti civili e culturali sia “sempre più difficile tornare indietro”. 


Per l’organizzazione impegnata a determinare se ai bambini viene insegnato ad accettare e riconoscere i diritti degli “altri” a “esistere”, incoraggiando “tolleranza, pluralismo e democrazia” questa opera di revisione dei testi scolastici, che ha portato fra gli altri alla messa al bando di termini denigratori come scimmie e maiali per etichettare fedeli di altre religioni, è fondamentale per il successo di “Vision 2030”. “I libri di testo, - hanno spiegato gli autori - sono stati ripuliti dai dettami ultra-religiosi e ultra-nazionalisti che caratterizzano alcuni elementi, statali e non, della regione” e gli educatori stanno guidando in modo lento, ma deciso, la nazione “lontano dal radicalismo e verso una società che abbraccia davvero standard internazionali di pace e tolleranza”. Ancora oggi, si legge sul rapporto di Impact-se, rimangono però riferimenti problematici e passaggi controversi. Sono ancora presenti “una manciata di esempi di antisemitismo” ed elementi di “intolleranza” religiosa, così come “affermazioni storiche quantomeno dubbie su Israele”. In alcuni passaggi i testi scolastici rasentano ancora “l’ostilità” verso i non musulmani e riportano un“atteggiamento generalmente discriminatorio” verso le donne, gli omosessuali e transessuali specchio di una società il cui stampo resta “conservatore” e “profondamente antisemita”, e con una “enfasi” sulla jihad e il martirio. Tuttavia, anche in questi ambiti si sono registrati dei progressi, per quanto limitati, tanto che dal 2016 ad oggi, almeno 22 riferimenti anti-cristiani e anti-semiti nei libri di testo sono stati cancellati o opportunamente modificati.


Se per Impact-se, altre e fondamentali modifiche al curriculum saudita “non avverranno da un giorno all’altro”, il cambiamento avvenuto nell’ultimo anno è “uno straordinario balzo in avanti” tanto che, anche fuori dai libri scolastici, pare che una chiesa sia “nella lista delle cose da fare” della leadership saudita. Una visione decisamente ottimistica rispetto ad un’analisi più completa delle riforme sociali “post-wahhabita”. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato alcuni mesi fa dalla Human Rights Measurement Initiative (Hrmi), una organizzazione pro-diritti umani composta da attivisti, ricercatori e accademici, che studia e classifica le nazioni in base al loro livello di pericolosità nei confronti del proprio popolo, l’Arabia Saudita resta una delle nazioni al mondo più insicure a causa delle violenze e degli abusi perpetrati dallo Stato contro i suoi cittadini.  Lo studio si fonda su alcuni parametri ben precisi, fra i quali il livello di sicurezza dello Stato, il grado di sviluppo, il rispetto dei diritti e la qualità della vita. L’Arabia Saudita ha ottenuto un punteggio di 2,4 su 10 in riferimento alla sicurezza complessiva dello Stato, seconda peggiore nazione al mondo dopo il Messico su 36 Paesi di cui si ha la disponibilità di dati completi. A rendere critica la situazione nel regno saudita sono l’uso elevato di torture, esecuzioni, omicidi extragiudiziali, sparizioni misteriose, arresti arbitrari e il ricorso alla pena di morteIn quest’ultimo campo, pur a fronte di un miglioramento per una serie di decreti reali che cancellano la pena capitale per reati legati alla droga, la situazione resta critica perché con molte disposizioni di legge che restano spesso disattese. Pesano sul giudizio complessivo anche il divieto governativo di proteste, i limiti alla libertà di stampa ed espressione, la repressione dell’attivismo civile e l’impossibilità dei cittadini di partecipare alla vita pubblica. A ciò si aggiunge la mancanza di libertà religiosa in una nazione in cui è ammesso solo l’islam sunnita. 


Per Julia Legner, analista dell’ong con sede a Londra Al-Qst. “Da quando Mohammed bin Salman è diventato principe ereditario nel 2017 ha centralizzato il potere statale e rafforzato la sua presa sui diritti fondamentali, con la più grande repressione della libertà di espressione nella storia del Paese”. A questo si unisce la cacciata “su vasta scala di difensori dei diritti umani”. Fra le vittime il giornalista Jamal Khashoggi nel 2018, le esecuzioni statali frutto di “processi ingiusti” e le torture di uno squadrone “direttamente legato al principe ereditario”. Al momento la parziale rivoluzione del regno wahhabita, voluta dal principe ereditario per affrancare la religione da una visione radicale, ha come vero obiettivo quello di aprire il Paese all’economia internazionale. Anche per questo per Aziz Alghashian, esperto di islam alla University of Essex, “la nazione si sta ricostruendo dalle fondamenta” ed è sempre più orientata verso “l’economia” e il profitto, più che sulla sfera religiosa, “nel tentativo di apparire più attraente per gli investitori” o almeno “meno intimidatoria”. Insomma anche il regno wahhabita sta piegando la religione alle esigenze del mercato, basti pensare che oggi alcuni negozi e centri commerciali restano aperti durante i cinque momenti della preghiera islamica. Un evento impensabile in passato, con le squadre della “buoncostume” che a colpi di bastone imponevano le chiusure. Non sembrano ancora mature, tuttavia, le condizioni di quello che con troppa enfasi è stato definito un “nuovo Rinascimento” saudita.


Alessandro Graziadei

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