La demografia è oggi una scienza tirata per la giacca: c’è chi pensa che con i nostri 7,8 miliardi siamo in troppi per essere ecologicamente sostenibili e chi ritiene, soprattutto nei paesi arricchiti e con tassi di natalità ai minimi storici, che siamo, invece, troppo pochi per essere economicamente sostenibili e garantire l’efficacia di quel patto di solidarietà intergenerazionale che è, ed è stato fino ad oggi, il nostro sistema pensionistico. Da qui l’idea che le migrazioni, più che la nostra rovina, potrebbero essere la nostra salvezza, visto che molte economie europee dovranno per forza contare sui contributi pagati dai migranti e dai figli dei migranti per sperare di puntellare quel sistema di welfare che garantisce le pensioni di anzianità. Ma i fenomeni migratori sono dinamiche complesse, troppo spesso politicamente strumentalizzate e anche l’andamento demografico rimane troppo spesso vittima di dibattito più ideologico che scientifico. L’aumento o la diminuzione della popolazione, in realtà, non deve necessariamente essere pensata come una minaccia o un'opportunità, ma semplicemente come un cambiamento con il quale una politica economica e sociale lungimirante e in prospettiva più sostenibile, deve fare i conti.
I conti con la demografia ha cominciato a farli già negli anni ’70 Arne Naess. Filosofo e alpinista norvegese, pioniere delle visioni socio politiche nonviolente, è stato il fondatore del movimento della “deep ecology” o ecologia profonda. Fu il primo a capire che per innescare una vera conversione ecologica “occorre pensare che la terra non appartiene agli esseri umani, che nessun essere vivente deve essere concepito solo come risorsa”, per questo è necessario operare “una valutazione critica dei sistemi di consumo e produzione, della tecnologia che rende l’individuo sempre più dipendente dai mercati, e del dilemma di una popolazione umana troppo numerosa”. Un’intuizione giusta, visto che in meno di un secolo siamo passati da 2 miliardi a 7,8 miliardi di persone. Secondo le Nazioni Unite, entro il 2030 la Terra sarà abitata da 8,5 miliardi di persone. Diventeremo 10 miliardi entro il 2050 e poco meno di 11 entro la fine del secolo. Il tasso di crescita, però, è destinato a diminuire e presto ad azzerarsi. Secondo alcuni recenti studi dell’istituto di ricerca IPSOS “in meno di un secolo la popolazione mondiale perderà l’equivalente di tre Paesi delle dimensioni degli Stati Uniti sostanzialmente per tre fattori chiave: l’urbanizzazione, l’invecchiamento e la diminuzione del tasso di natalità”.
Quindi, contrariamente a quanto siamo abituati a immaginare quando pensiamo alle ricadute negative della sovrappopolazione in termini di consumo delle risorse ambientali, per i ricercatori di IPSOS “la popolazione mondiale attualmente non sta registrando una crescita incontrollata ma anzi, tra soli tre decenni, se non prima per via degli effetti della pandemia, inizierà a diminuire”. Già oggi, nella maggior parte dei Paesi arricchiti il tasso di natalità è in calo e questo significa che attualmente la crescita della popolazione mondiale non sta avvenendo in relazione al numero di nascite, ma per l’allungamento della vita e nonostante la pandemia di Covid-19. Secondo le stime del Brookings Institute, negli Stati Uniti a causa del Covid nasceranno 300.000 bambini in meno, mentre il Canada ha già registrato il più basso tasso di natalità della storia. Anche in Cina, nell’ultimo anno, le stime per le nascita mostrano un calo di circa il 15% per cento: “nel 2020 i nuovi nati sono stati 10,03 milioni, l’anno precedente erano stati 11,79 milioni” e questa china rivelata da You Jun vice ministro per le Risorse umane e la sicurezza sociale, prosegue almeno dal 2012. Il dato, è bene ricordarlo, è parziale, perché riguarda le famiglie registrate nel sistema “hukou”, che vincola l’accesso ai benefici sociali al luogo di residenza ufficiale. Sappiamo che in passato molti cittadini cinesi sceglievano di non registrarsi per evitare multe in caso di violazioni dei limiti alle nascite imposti dallo Stato, ma questo calo delle nascite sembra essere particolarmente realistico e i dati forniti da alcune province cinesi, come quelle industriali dell’est e del sud, parlano di una diminuzione anche maggiore, attorno al 30%. Secondo uno studio dell’Accademia cinese delle scienze, “dal 2027 inizierà a calare la popolazione in età di lavoro, con gravi problemi di natura pensionistica per la popolazione anziana”. Di questo passo già entro il 2030 i cinesi con più di 60 anni, e quindi in età di pensione, saranno più del 20% degli abitanti. Per i calcoli delle Nazioni Unite, Pechino (al pari di molti altri paesi) ha scarse possibilità di rovesciare tale corso: "nei prossimi 30 anni il gigante asiatico perderà 200 milioni di adulti in età da lavoro e si ritroverà con 300 milioni di pensionati in più".
Una bomba a orologeria economica e sociale come quella “minore” che affligge anche il Belpaese. Da oltre un decennio siamo un’Italia sempre più anziana e meno popolata, afflitta da carenze strutturali e legislative a livello fiscale, economico e sociale aggravate dal crollo delle nascite. Secondo l’Istat abbiamo registrato un ennesimo calo anche nel 2020. Negli ultimi 12 anni siamo passati da un picco relativo di 577 mila nati agli attuali 404 mila, il 30% in meno. Il tasso di fecondità è sceso a 1,24 figli per donna, da 1,27 del 2019. Anche in Italia la natalità non è tuttavia un fatto meramente demografico, ma una questione antropologica, politica e ambientale. Senza natalità le famiglie, le società e i paesi muoiono per assenza di futuro. Criticità sempre più globalizzate, tanto che per due giornalisti canadesi, Darrell Bricker e John Ibbitson, se oggi il fenomeno è ancora diacronico, “tra circa tre decenni è possibile pensare ad una inversione della rotta moderna e contemporanea con un calo implacabile, generazione dopo generazione, della popolazione umana su scala mondiale”. Presto anche i più grandi Paesi in via di sviluppo, i cui tassi di fecondità sono già in discesa, inizieranno a ridursi ed è probabile che lo stesso baby boom africano finisca ben prima di quanto non prevedano i demografi. Per i due giornalisti canadesi che per la pubblicazione del libro Pianeta vuoto. Siamo troppi o troppo pochi? (Add editore, 2020) hanno raccolto dati statistici nazionali e internazionali, studiando e comparando le politiche capaci di aumentare il numero di figli per coppia, "è ormai sconfessata l’opinione della incontrollata, duratura e travolgente crescita demografica, più probabilmente raggiungeremo un picco di poco oltre i nove miliardi e poi inizieremo a calare”.
Capire con certezza cosa accadrà dal punto di vista demografico nei prossimi decenni è difficile ed è possibile che Paesi e Continenti avranno sviluppi diversi e tendenze non sempre omogenee a seconda delle politiche messe in atto. Una cosa è certa, come ricordava Naess, nessun sistema finito e chiuso come il nostro Pianeta può sopportare una crescita (non solo demografica) infinita, anche se la scienza e la tecnica potranno sicuramente trovare soluzioni che ridurranno il nostro devastante impatto sulle risorse del Pianeta. Se lo scenario contemporaneo sembra attenuare la pressione demografica, non è sicuramente così per lo “sviluppo scorsoio” imposto dai mercati, e alla luce della scarsa lungimiranza e dei cechi interessi economici che determinano la politica contemporanea, corriamo il rischio di perdere di vista “L’occhio di Plimsoll”. In gergo nautico questo ideogramma convenzionale indica l’intersezione della linea di galleggiamento al massimo carico consentito ad una nave e la superficie esterna dello scafo. Si tratta di una misura di sicurezza per assicurare all’imbarcazione, anche in condizioni metereologiche proibitive, una certa riserva di spinta indispensabile per evitare di affondare a causa del sovraccarico di merci o persone. Che il sovraccarico sia di natura ecologica o demografica, perdere di vista oggi “L’occhio di Plimsoll” della Terra vuol dire preparare domani il naufragio delle nuove generazioni,. Intanto, però, le operazioni di carico della "nave Terra" continuano senza sosta...
Alessandro Graziadei
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