Il presidente dell’Uzbekistan Šavkat Mirziyoyev il 24 ottobre è stato rieletto per un secondo mandato con più dell’80% delle preferenze (oltre 16 milioni di uzbeki su un totale di 20 milioni). Secondo il capo del Comitato elettorale Zajnuddin Nizamkhodžaev, le elezioni “si sono svolte nel pieno rispetto della legge e dei principi democratici, senza alcuna violazione delle norme”. In realtà le autorità avevano escluso dalla competizione diversi esponenti delle opposizioni e quasi tutti i candidati in lizza erano esponenti di partiti filo-governativi. Come se non bastasse alcuni giornalisti indipendenti su Currentime.tv hanno diffuso notizie di brogli in diversi seggi, con l’inserimento di schede precompilate nelle urne elettorali e hanno segnalato che alla vigilia delle elezioni, diversi imam hanno proclamato nelle omelie che la partecipazione al voto è un “vadžib amalem”, cioè un “dovere religioso”, invitando a non dare retta agli appelli diffusi dalle reti social a disertare le urne per evitare di togliere autorevolezza alla conferma del presidente. Come mai? Mirziyoyev aveva promesso ed ora ha avviato una politica più permissiva nei confronti dell’islam, a cui negli anni post-sovietici era stata interdetta l’iniziativa pubblica e sociale.
La cultura e in particolare gli abiti legati alla fede islamica sono stati, infatti, a lungo demonizzati dall’amministrazione sovietica, che li considerava portatori di “oscurantismo medievale” e di “segregazione delle donne”. Il cambio di rotta è quindi una buona notizia per la libertà religiosa e i diritti civili e culturali dei cittadini mussulmani del Paese. Tuttavia, dopo la presa dell’Afghanistan da parte dei talebani, l’influsso di un’interpretazione più radicale della religione musulmana inizia a preoccupare molte persone anche in Uzbekistan, soprattutto i cittadini uzbeki di etnia russa. Secondo alcune recenti interviste rilanciate da Radio Azattyk, raccogliendo le voci di diversi testimoni, adesso le tradizioni musulmane che si sono conservate nei decenni del regime sovietico si stanno radicalizzando, e molti cittadini iniziano a temere il ritorno dei “burka, le paranža e i khižab”, i pesanti abiti femminili islamici e i veli che coprono il viso, oggi di nuovo permessi in pubblico grazie a una legge fatta approvare a luglio da Mirziyoyev. La nuova ondata di “ortodossia pubblica” sembra essersi diffusa con rapidità impressionante in un Paese di 36 milioni di abitanti, il più popoloso di tutta l’Asia centrale e molti uzbeki di origine russa (sono 720mila, a fronte del milione e 700mila del 1989) hanno deciso di lasciare l’Uzbekistan, nonostante non avessero mai sentito prima il desiderio di trasferirsi in Russia.
Negli anni della presidenza post-sovietica di Islam Karimov, segretario locale del Partito comunista dal 1991 al 2016, sono state represseanche le più innocue espressioni religiose tanto che ai suoi tempi la polizia aveva istruzioni di fermare e radere a forza le barbe più lunghe e arrestare chiunque facesse resistenza. La rabbia e il malcontento nella minoranza mussulmana ha covato a lungo, anche se Mirziyoyev, dopo aver sostituito Karimov, ha concesso un’amnistia alle migliaia di “prigionieri di coscienza” musulmani, ed ha promulgato diversi doverosi atti per allargare le libertà di culto. Dopo la presa di Kabul però la diffidenza verso l'islam è tornata e con lei anche le repressioni nei confronti dei sospetti terroristi, creando una forte contraddizione nella società uzbeka. Secondo Nigala Khidojutova, espulsa dall’Uzbekistan di Mirziyoyev nel 2005 per aver formato il partito di opposizione dei Liberi Contadini, “è il governo stesso a favorire la radicalizzazione religiosa, anche se arresta qualche estremista a scopi dimostrativi. La corruzione diffusa sta provocando grande rancore in una società civile molto debole, con una gioventù poco istruita, una illegalità molto diffusa e ora anche un nuovo radicalismo religioso”. Una bomba che rischia di scoppiare alla prima scintilla. Intanto sempre più musulmani uzbeki, e anche molti imam, simpatizzano per i nuovi talebani e non sembra un caso che Mirziyoyev si sia speso pubblicamente per la nomina a gran muftì del moderato Nuriddin Kholiknazarov, cresciuto sotto i sovietici e ritenuto uno dei pochi religiosi in grado di tenere insieme le diverse anime dell’islam uzbeko.
Kholiknazarov saprà mediare questa spaccatura spirituale e politica? Definito “imam del compromesso” in grado di adoperarsi per la riconciliazione tra le parti grazie alla sua autorevolezza e cultura, la figura di Kholiknazarov, sta attirando l’interesse non solo dei fedeli, ma di tutta la società uzbeka e dell’Asia centrale. Kholiknazarov si è sempre speso per proteggere la comunità musulmana dalle varie pressioni delle autorità politiche e civili. Per il noto blogger uzbeko, Adkham Atadžanov, fondatore del sito Islamonline.uz il nuovo leader è un “credente moderato ben conosciuto da tutti i fedeli, e la sua predicazione è sempre ben accolta anche dagli altri imam”. Secondo Atadžanov, adesso da gran muftì, Kholiknazarov dovrà occuparsi di questioni molto rilevanti come l’educazione religiosa, la pubblicazione di letteratura religiosa e il permesso agli studenti di portare i copricapi e i veli anche a scuola, “Argomenti che preoccupano la nostra comunità da molti anni; il codice d’abbigliamento è decisivo per lo svolgimento di tutte le attività educative, ed è una nostra questione interna”. Quale anima prevarrà nell’ islam uzbeko non è una facile previsione, ma Atadžanov assicura che il gran muftì “non interverrà nei confronti del governo per sostenere le tendenze filo-talebane e più radicali, che pure sono presenti nella società uzbeka, ma anzi cercherà di illuminare tutti per vincere il fanatismo e l’ignoranza”.
Alessandro Graziadei
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