sabato 16 aprile 2022

Con una dieta a base vegetale…

Nel mondo c’è una crescente consapevolezza che il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità siano indissolubilmente legati e debbano essere affrontati insieme, in un quadro congiunto con le politiche alimentari e agricole. L’ennesima conferma scientifica arriva dal recente studio “Dietary change in high-income nations alone can lead to substantial double climate dividend”, pubblicato quest'anno su Nature Food da un team di ricercatori di Universiteit LeidenChina Agricultural UniversityUniversity of Wisconsin-Madison e  Wirtschaftsuniversität Wien. Per gli autori “Se i Paesi ad alto reddito passassero a una dieta a base vegetale, entro la fine del secolo potrebbero essere estratte dall’atmosfera quasi 100 miliardi di tonnellate di CO2” e “Il doppio profitto del carbonio, derivante dal riportare i terreni agricoli al loro stato naturale, equivarrebbe a circa 14 anni di emissioni agricole”. Il team internazionale ha calcolato quanta terra potrebbe essere salvata da 54 Paesi ad alto reddito che passassero ad una EAT-Lancet “planetary diet”, dieta ricca di alimenti a base vegetale che fa bene non solo all’ambiente, ma anche alla salute umana, scoprendo che “L’area necessaria agli animali per pascolare e coltivare mangime è enorme. Occupa circa l’80% di tutte le terre agricole, ovvero circa il 35% della superficie totale abitabile nel mondo”.  


Per il principale autore dello studio, Zhongxiao Sun questa è “Forse una delle maggiori e più praticabili opportunità per salvaguardare la salute del Mondo. Un rapido passaggio a diete vegetali potrebbe aiutarci a rimanere entro limiti ambientali sostenibili”. Di fatto “Se le nazioni ad alto reddito si allontanassero dai prodotti animali, sarebbe necessaria molta meno terra per coltivare cibo. Vaste aree potrebbero quindi tornare al loro stato naturale, con piante e alberi selvatici che tornerebbero ad estrarre carbonio dall’atmosfera”. L’autore senior dello studio, Paul Behrens dell’Universiteit Leiden, ha spiegato perché lo studio si è concentrato sulle regioni a reddito più elevato: “Questi Paesi hanno molte opzioni a base vegetale per le proteine e altri bisogni nutrizionali. Nelle regioni a basso reddito, le persone consumano meno proteine animali, ma spesso fanno affidamento su di esse per la propria salute e sopravvivenza”. E così se è più difficile chiedere alle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo di modificare la propria dieta, alle nostre latitudini il passaggio a diete a base vegetale sarebbe più facile e ridurrebbe del 61% le emissioni annuali della produzione agricola. "Inoltre, la conversione di ex terreni coltivati e pascoli al loro stato naturale eliminerebbe altri 98,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera entro la fine del secolo e aiuterebbe in modo significativo a mantenere il pianeta entro un riscaldamento non più di 1,5 gradi Celsius”.


Per Behrens le nostre scelte alimentari “Sono una straordinaria opportunità per la mitigazione climatica”. Ma non solo. Una dieta vegetale avrebbe anche enormi vantaggi per la qualità dell’acqua, la biodiversità, l’inquinamento atmosferico e come argine alla deforestazione.  Ci sono centinaia di studi che dimostrano quanto sia importante per noi conservare e tutelare la natura per la nostra salute e questi cambiamenti di dieta aprirebbero molte occasioni per la "rinaturalizzazione" del Pianeta. Per questo anche all’interno dell’Unione europea sarà fondamentale reindirizzare i sussidi agricoli orientandoli sempre di più verso la protezione della biodiversità e il sequestro del carbonio. Secondo Sun “Non dobbiamo essere puristi su questo, anche solo ridurre l’assunzione di proteine animali sarebbe utile. Immagina che se metà dell’opinione pubblica nelle regioni più ricche tagliasse metà dei prodotti animali nelle loro diete, si parlerebbe di un’enorme opportunità in termini di risultati ambientali e salute pubblica”. Lo studio “Global food system emissions could preclude achieving the 1.5° and 2°C climate change targets”, pubblicato nel 2020 su Science da un team di ricercatori statunitensi e britannici guidato da Michael Clarck dell’Università di Oxford, anticipava questi risultati ricordandoci che “Anche se le emissioni di combustibili fossili si interrompessero immediatamente, da sole le emissioni del sistema alimentare globale potrebbero aumentare le temperature di oltre 1,5 ° C”. Per i ricercatori la riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili è essenziale per raggiungere gli obiettivi climatici globali dell’Agenda 2030, ma questi obiettivi non saranno raggiungibili a meno che non venga trasformato anche il sistema alimentare globale: “Se vogliamo raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi sul clima di limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5° C o 2° C sopra i livelli preindustriali, ciò che mangiamo, quanto mangiamo, quanto viene sprecato e come viene prodotto il cibo dovrà cambiare drasticamente entro il 2050”.  


Se le tendenze alimentari attuali continueranno così (o come è prevedibile peggioreranno), le emissioni dei sistemi alimentari supereranno l’obiettivo di 1,5° C entro 30 – 45 anni e potrebbero superare l’obiettivo di 2° C entro 90 anni, anche se tutte le altre fonti di emissioni di gas serra si fermassero immediatamente. Se poi altre fonti di emissioni di gas serra raggiungessero lo zero entro il 2050, l’obiettivo di 1,5° C verrebbe in ogni caso superato in 10 – 20 anni e l’obiettivo di 2° C entro la fine del secolo. Invece, passando quasi completamente a una dieta ricca di vegetali in buona parte del Mondo si potrebbero tagliare quasi 720 miliardi di tonnellate di gas serra. Impossibile? Per Clarck la buona notizia è che, “Se si agisce velocemente, ci sono molti modi per ridurre rapidamente le emissioni da cibo. Queste includono sia l’aumento dei raccolti che la riduzione della perdita e dello spreco di cibo, ma la cosa più importante è che le persone si spostino verso diete prevalentemente vegetali”. Riuscire a ridurre le emissioni di gas serra prodotte dai sistemi alimentari con un’azione coordinata tra l’industria del cibo, l’Unione europea e i governi nazionali, riducendo così anche il tasso di incidenza di malattie legate all’alimentazione come obesità, diabete e malattie cardiache dovrebbe cominciare ad essere una priorità politicaMa la salute, nostra e dl Pianeta non è l'unica ragione che dovrebbe farci riflettere attorno alla nostra dieta. Animal Equality sostiene, per esempio, che a condannare i deformi e giganteschi polli Broiler alla sofferenza anche in vita è la selezione genetica, a prescindere dall’ambiente in cui crescono, un dato che confligge con il decreto legislativo 146 del 2001 sulla protezione degli animali negli allevamenti, con il quale si chiede agli allevatori di adottare “misure adeguate per garantire il benessere dei propri animali e affinché non vengano loro provocati dolore, sofferenze o lesioni inutili”. Per questo è attiva una petizione al ministro per le Politiche Agricole e al ministro per la Salute per chiedere di supportare a livello europeo la messa la bando delle razze a rapido accrescimento e di disporne l’abbandono totale anche in Italia. Per Alice Trombetta, direttrice esecutiva di Animal Equality Italia,“è inaccettabile” un sistema dove “l’industria della carne di una delle razze più consumate al mondo si basa sulla sofferenza deliberatamente imposta dall’essere umano nei confronti di animali selezionati apposta per massimizzare i propri profitti a discapito della loro [e della nostra] salute”. Non basta tutelare gli animali con la Costituzione, se poi non si riesce ad applicarla.


Alessandro Graziadei



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