Una buona notizia in campo climatico? Forse sì, ma dipende da noi e soprattutto dalle scelte globali dei nostri politici. Secondo lo studio “Realization of Paris Agreement pledges may limit warming just below 2° C” pubblicato il 13 aprile scorso su Nature da un team internazionale di ricercatori guidato dell’Università di Melbourne, supportati dal Climate Resources Melbourne, l’International Energy Agency (Iea) e il segretariato dell’ United Nations Climate Change, “se tutti i Paesi rispettassero gli impegni dell’Accordo di Parigi ribaditi alla COP26 Unfccc di Glasgow del 2021, il mondo potrebbe riuscire a mantenersi per un pelo entro gli 1.9 – 2° C”. Si tratta del primo studio fatto per quantificare l’impatto sul clima degli ultimi impegni volti a ridurre le emissioni che sono stati presi durante l'ultima COP26 a Glasgow analizzando i dati e gli obiettivi di 196 Paesi. Oltre alle emissioni dei trasporti marittimi e aerei internazionali, il team di ricercatori ha calcolato le emissioni dell’intera economia a livello nazionale aggregando tutti i dati ricavati attraverso simulazioni climatiche probabilistiche per dedurre il possibile riscaldamento climatico del futuro.
Per il principale autore dello studio, Malte Meinshausen la comunità globale ha ancora una speranza, “Ma deve sfruttare lo slancio attuale dopo che questi recenti progressi hanno reso possibile che il riscaldamento possa essere limitato “appena sotto” la soglia simbolica di 2° C con almeno una probabilità del 50%. Solo un anno fa, sommando le promesse dei Paesi, non potevamo vedere i 2° C a portata di mano. Qualcosa è cambiato. Se tutti i paesi rispettassero le promesse fatte alla COP26, mantenere l’aumento della temperatura globale appena al di sotto dei 2° C potrebbe essere ancora possibile”. Lo studio, però, ci dice anche qualcosa di molto preoccupante e cioè che “Se i paesi non migliorano sostanzialmente i loro obiettivi di riduzione entro questo decennio sarà improbabile limitare il riscaldamento di picco”. Uno degli autori dello studio, lo specialista di dati climatici Jared Lewis, ha spiegato che “Sono necessari impegni e azioni urgenti e più forti in questo decennio per raggiungere l’obiettivo di 1,5° C. Il raggiungimento di questo obiettivo di mantenere il riscaldamento intorno a 1,5° C ci consentirà di mitigare alcuni dei peggiori risultati dei cambiamenti climatici, tra cui ondate di caldo estreme, sbiancamento della barriera corallina, inondazioni crescenti e piogge prolungate”.
Il nuovo studio stima che nel 2030 le emissioni saranno superiori del 6-13% rispetto ai livelli del 2010, ma applicando tutte le opzioni elaborate alla COP26, tutte credibili e realizzabili, i responsabili politici potrebbero rispondere ancora in modo soddisfacente all’attuale crisi climatica. Le sanzioni alla Russia, conseguenti alla guerra in Ucraina, potrebbero segnare uno spartiacque importante nella transizione energetica europea e mondiale. Per Meinshausen visto che “Con gli attuali impegni, il mondo esaurirà il suo budget di carbonio rimanente per gli 1,5° C in questo decennio, ridurre in modo deciso l’uso di combustibili fossili dovrebbe essere la priorità climatica numero uno. Un’accelerata phase out e phase down di carbone, petrolio e gas apre le opportunità per un futuro elettrico ed alimentato da fonti rinnovabili”. Una sfida non solo per tutelare la nostra vita, ma anche quella dei monumenti e dei siti culturali e naturali dichiarati patrimonio mondiale dell’Unesco. In occasione dell’International Day for Monuments and Sites lo scorso 18 aprile, infatti, l’Unesco ha lanciato un nuovo drammatico allarme: “Un sito naturale su tre e uno su sei del patrimonio culturale sono attualmente minacciati dai cambiamenti climatici” e “Oltre a fornire luoghi interessanti da visitare per conoscere il passato, questi siti sono anche osservatori sui cambiamenti climatici che raccolgono e condividono informazioni sulle buone pratiche climatiche”.
L’agenzia culturale dell’Onu ha sottolinea che “Negli ultimi mesi e anni, il mondo ha assistito a siti del patrimonio culturale e naturale minacciati da incendi, inondazioni, tempeste ed eventi di sbiancamento di massa delle barriere coralline”. Il rapporto, “World Heritage Forests: Carbon sinks under pressure” dell’Unesco, ha rivelato che “Un incredibile 60% delle foreste del patrimonio mondiale sono minacciate da eventi legati ai cambiamenti climatici”, mentre il rapporto “Custodians of the globe’s blue carbon assets” sempre dell’Unesco ha sottolineato che “I siti marini sono ugualmente sotto pressione, con due terzi di questi depositi vitali di carbonio, che ospitano il 15% delle risorse globali di blue carbon, che attualmente presentano alti rischi di degrado. E se non si interviene, il corallo potrebbe scomparire nei siti del patrimonio naturale entro la fine di questo secolo”. Anche per questo il tema dell’International Day for Monuments and Sites di quest’anno è stato proprio Heritage and Climate. Il cambiamento climatico è, quindi, non solo una delle questioni determinanti del nostro tempo, ma anche una delle maggiori minacce che devono affrontare i monumenti e i siti culturali e naturali del patrimonio mondiale dell’Unesco. Per far fronte a questi innegabili impatti sui monumenti e sui siti del patrimonio mondiale, l’Unesco sta lavorando per sfruttare il potenziale della cultura, ancora in gran parte sottovalutato, per supportare l’azione climatica e integrare pienamente i monumenti e i siti del patrimonio mondiale nell’azione e nelle strategie per il clima.
Alessandro Graziadei
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