Secondo lo studio “Oil companies in disguise” pubblicato il 28 settembre da Transport & Environment (T&E) e Legambiente “Le emissioni globali delle case automobilistiche superano mediamente del 50% l’ammontare ufficiale, con punte del 149%, 116% e 81% riscontrate rispettivamente presso Stellantis, Hyundai-Kia e BMW”. Com’è possibile? Facciamo alcuni passi indietro. Era il settembre del 2015 quando l’Environmental protection agency (Epa) degli Stati Uniti notificava a Volkswagen, Audi e Volkswagen Group of America un avviso di violazioni del Clean Air Act aggirato grazie ad un apposito software montato sui modelli di auto diesel a quattro cilindri prodotte tra il 2009 e il 2015 che limitava in sede di test le emissioni di alcuni inquinanti atmosferici. Il Clean Air Act impone ai produttori di veicoli di certificare all’Epa che le loro auto siano conformi alle norme sulle emissioni federali Usa per il controllo dell’inquinamento atmosferico. Ora, secondo la notice of violation dell’Epa, “un algoritmo di un sofisticato software rileva quando la macchina è in fase di test ufficiale di emissioni e le riduce durante il test, ma non in tutte le situazioni di guida normali”. Ciò si traduceva in automobili che soddisfano gli standard di emissioni in laboratorio, ma durante il normale funzionamento, emettono ossidi di azoto ed altri agenti inquinanti fino a 40 volte al di sopra della norma.
In realtà molte associazioni ambientaliste da anni segnalavano discrepanze tra i risultati dei test sulle emissioni e i valori reali misurati durante la guida. Maria Krautzberger, presidente di Umweltbundesamtes, ha ricordato che “è noto che le emissioni reali di inquinanti in molte autovetture non solo di VW, sono superiori ai valori dei test anche in Germania”. Secondo Daniel Moser, esperto di trasporti per Greenpeace, “lo scandalo Volkswagen dimostra che l’industria automobilistica cerca sistematicamente di nascondere i rischi sanitari e ambientali delle sue auto spesso ostacolando la rilevazione delle emissioni”. Nel settembre del 2014 Altroconsumo e numerose organizzazioni di consumatori indipendenti in Europa, avevano già denunciato la prassi delle case automobilistiche, diffidandole presso le sedi competenti, visto che “le informazioni al pubblico sui consumi sono fuorvianti, risultato di una procedura di omologazione lacunosa”. Anche il colosso francese Renault, oggetto di un’inchiesta in Francia voluta dal Governo di Manuel Valls dopo lo scandalo scoperto in Usa, aveva richiamato 15 mila vetture prima della loro messa sul mercato. Lo aveva annuncia l’allora ministro dell’Ecologia, Ségolène Royal dopo che alcuni controlli in condizioni reali, effettuati dal Ministero, avevano mostrato valori inquinanti che sforano i limiti europei.
Secondo uno studio del 2014 sempre di T&E, il gap fra i controlli in laboratorio e quelli su strada è un’abitudine e “Per le nuove auto diesel le emissioni di ossidi di azoto sono in media cinque volte superiori su strada rispetto al limite consentito e solo un’auto su dieci rispetta il livello promesso anche su strada”. Per alcuni modelli il divario era così grande che da anni era già emerso il sospetto che l’auto fosse in grado di rilevare quando è sottoposta o meno ad un test utilizzando un “impianto di manipolazione” (defeat device) che abbassi artificialmente le emissioni durante la prova. Adesso i nuovi dati elaborati nello studio Oil companies in disguise evidenziano come il problema dell’inquinamento delle autovetture riguarderà da vicino anche i fondi di investimento e le società finanziarie esposte sul settore che, in base alle nuove norme dell'Unione (il regolamento sulla Sustainable Finance Disclosure - SFDR e la direttiva Corporate Sustainability Reporting CSRD) che entreranno in vigore nel 2023, dovranno rendere note le loro emissioni indirette (Scope 3), ovvero quelle associate alle emissioni totali nel ciclo di vita dei prodotti venduti dalle aziende. Il rapporto fa notare che “A differenza di altri prodotti, come ad esempio un complemento d’arredo o un telefono cellulare, la stragrande maggioranza (98%) delle emissioni di un’auto non deriva dalla sua produzione bensì dal suo utilizzo. E, come dimostra l’analisi, i livelli misurati sono con ogni probabilità molto più elevati di quanto dichiarato dai costruttori”. Per Luca Bonaccorsi, direttore della divisione finanza sostenibile di T&E, “Affinché gli investimenti verdi siano credibili occorre che siano sostenuti da dati accurati” per questo “Le case automobilistiche ingannano gli investitori sottostimando le emissioni prodotte durante il ciclo di vita delle loro auto e le agenzie di rating ne deducono punteggi ESG [ovvero ambientali, sociali e di governance] senza senso. Gli investitori se ne renderanno conto presto e dovranno prendere provvedimenti”.
Per T&E e Legambiente i dati elaborati dalle case automobilistiche sono raccolti secondo criteri selettivi e discutibili che sono finalizzati a determinare numeri più bassi, “BMW, ad esempio, stima le emissioni medie dei suoi veicoli ipotizzando che questi ultimi percorrano non più di 150.000 chilometri nel corso della loro esistenza. Un dato che non corrisponde alla realtà”. Analisi accurate come questa rivelano anche come in alcuni casi l’intensità di carbonio degli investimenti nelle aziende automobilistiche sia addirittura superiore a quella associata alle operazioni finanziarie nell’industria petrolifera. Secondo Bonaccorsi, quindi, “Per un investitore le case automobilistiche hanno un’intensità di carbonio superiore a quella dell’industria petrolifera, un aspetto che dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme per l’industria finanziaria. Se vogliono evitare di subire l’impatto di questa bomba ad orologeria, gli asset manager dovranno disinvestire dai costruttori che non hanno un piano aggressivo di riduzione delle emissioni”. Basterà? È probabile che entro la fine del 2022 circa il 50% di tutti i nuovi prodotti finanziari venduti sul mercato saranno basati su criteri ESG, criteri che tuttavia non sempre riescono a cogliere in pieno il reale impatto climatico delle aziende. Per questa ragione, T&E e Legambiente chiedono urgentemente all’Unione europea di regolamentare e armonizzare la metodologia per il calcolo delle emissioni totali delle aziende, garantendo così una comunicazione più coerente e trasparente dei dati.
Alessandro Graziadei
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