Nell'aprile del 2022 un comunicato stampa della Provincia Autonoma di Trento ci informava che la PAT era prima in Italia per qualità istituzionale. Un riconoscimento, quello dell'amministrazione pubblica più efficiente d'Italia, già ottenuto nel 2016 e certificato dalla Cgia-Confartigianato di Mestre, in uno studio che ha misurato i tempi, i costi e la farraginosità della burocrazia italiana, alla luce delle analisi elaborate dall’Istituto Ambrosetti e da Deloitte. Un risultato importante e prestigioso, che sembra scontare qualche limite quando le istituzioni vengono interpellate su questioni che potrebbero rivelarsi più problematiche da gestire. A noi è capitato lo scorso giugno quando dopo aver appreso da una fonte attendibile la natura probabilmente dolosa di un incendio avvenuto sul territorio provinciale, abbiamo deciso di andare più fondo, contattando le strutture amministrative del Servizio Antincendi e Protezione Civile della PAT del Corpo Permanente Provinciale Vigili del Fuoco. Il 1 gennaio del 2022, in località Fraine sul Monte Bondone, si è sviluppato un preoccupante incendio, in un periodo particolarmente siccitoso, in assenza di neve e in una zona battuta spesso dal vento. Solo il pronto intervento dei locali Vigili del Fuoco con i corpi di Cavedine, Calavino e Lasino, supportati anche da un elicottero, che hanno lavorato ininterrottamente per 48 ore, ha evitato che l’incendio si estendesse oltre i 4 ettari di montagna andati completamente in fumo. Un intervento che ha impegnato uomini e mezzi in una zona di montagna lontana da insediamenti e percorsi escursionistici, di non facile accesso, almeno per chi questa montagna non la frequenta con regolarità. Cosa sarà accaduto?
Per saperne di più, come previsto dall’amministrazione con una legge provinciale, serve la compilazione di un modulo ad hoc, una “RICHIESTA DI ACCESSO ALLE INFORMAZIONI A SEGUITO DI INTERVENTO” che in data 8 giugno 2022 compiliamo e inviamo alla segreteria provinciale del Servizio Antincendi e Protezione Civile, segnalando nel motivo della richiesta: “attività giornalistica”. Inizia così un iter infinito, tutt’ora in corso, dove non solo non ci viene data alcuna informazione, ma dopo diverse e-mail e telefonate, l’unica risposta ricevuta ha dell’inimmaginabile, almeno per l’idea che ci eravamo fatti della nostra amministrazione provinciale. All'ennesima richiesta di aggiornamento sull'iter della pratica il funzionario direttivo antincendi incaricato di seguire la nostra pratica, ci scrive, in data 6 settembre (tre mesi dopo la prima richiesta) che “poiché nella richiesta è scritto che il rapporto serve per scopi giornalistici, il direttore operativo sta valutando se deve essere rilasciato”. Lo stupore supera l’indignazione, per l'indifferenza o forse ignoranza delle più elementari norme di legge. Il diritto di accesso ai dati ed ai documenti amministrativi, infatti, rappresenta uno strumento fondamentale per l'effettiva realizzazione ed attuazione del “diritto di informazione” del giornalista, e tale diritto è tutelato dalla Costituzione, dalle Convenzioni internazionali, dai Trattati dell’Unione europea oltre che dalla stessa legislazione nazionale, cosa che dovrebbe essere ben nota ad un funzionario direttivo provinciale. Inoltre l’interesse pubblico, insito nell’esercizio dell’attività giornalistica ed il peculiare Testo unico dei doveri del giornalista sono tali da rendere inesigibile e non giustificabile un controllo in sede amministrativa delle finalità dell’istanza di accesso ad atti pubblici presentata da qualsiasi giornalista. Com’è possibile poi che al Servizio Antincendi e Protezione Civile provinciale apparentemente non interessi far conoscere, qualora quest’incendio fosse realmente doloso (perché al momento ancora non lo sappiamo), chi commettendo un reato ha messo a repentaglio la vita dei locali Vigili del Fuoco e ha fatto dolosamente spendere del denaro pubblico? E soprattutto quanto ci mette il direttore operativo a “valutare” se a 6 mesi da quell'irricevibile risposta e a 10 dalla presentazione della richiesta di accesso agli atti non abbiamo ancora saputo niente? Ricordare al funzionario direttivo che una risposta alla nostra richiesta dovrebbe essere “garantita dalla legge”, se si vuole rispettarla la legge, per ora non è servito a niente. Ma questo silenzio imbarazzante e prolungato delle istituzioni è normale?
Abbiamo chiesto al WWF del Trentino se la nostra esperienza con l’amministrazione provinciale, in particolare su temi ambientali, è da considerare un caso isolato, o se è capitato anche a loro di rimbalzare contro lo stesso muro di gomma fatto di silenzi ed omissioni. A raccontarci la loro esperienza, non sempre degna del titolo di “amministrazione pubblica più efficiente d'Italia” è Aaron Iemma il presidente della locale sezione del WWF che ci spiega come “L'amministrazione in qualche caso non solo non risponde, ma anzi sembra quasi deridere il legittimo diritto non solo dei cittadini ma anche delle Associazioni di accedere alle informazioni ambientali”. Qualche esempio? Il caso di WWF Trentino e del Servizio Foreste e Fauna (ora scorporato in Servizio Foreste e Servizio Faunistico della PAT) è esemplare. La vicenda riguarda un accesso agli atti formulato dall'Associazione nel 2020 per indagare il fenomeno degli investimenti faunistici in Provincia, “annosa questione che riveste fondamentale importanza per la connettività ecologica utile agli spostamenti ad esempio di lupi ed orsi: problema che appunto esiste da tempo, rispetto al quale la PAT non sembra aver voluto adottare soluzioni degne di questo nome. Ebbene, tale richiesta venne negata, per una sequela di motivazioni dimostrabilmente irragionevoli: prima tra le quali il supposto onere temporale che la stessa Amministrazione del servizio dovrebbe sopportare per estrarli. Peccato che richiesta del tutto consimile deve essere stata concessa in passato per identici scopi, altrimenti non si spiegherebbero le derivanti ricerche accademiche sul tema (es. Tattoni et al., 2022 con dati del 2018). Allo stesso modo, gli investimenti stradali vengono dalla PAT registrati in una apposita banca dati informatizzata, istituita per il preciso scopo di tenere traccia del fenomeno in maniera centralizzata: qualsiasi struttura dati moderna consente l'estrazione semplice e veloce delle informazioni. Altrettanto assurda la motivazione di diniego secondo la quale "Un considerevole numero di investimenti registrati contiene poi i dati personali delle persone coinvolte nel sinistro" - dati ovviamente non richiesti e non desiderati dall'Associazione - che in verità nasconde una radicale incomprensione delle banche dati moderne: incomprensione ancor più manifesta dalla motivazione "Per questo motivo l’accesso alla banca dati è protetto da password e può essere consentito esclusivamente a personale che abbia necessità di trattare i dati per ragioni di natura istituzionale e i dati ivi contenuti non possono essere diffusi", quando ovviamente l'Associazione non ha mai chiesto un accesso diretto ai sistemi della PAT, quanto l'estrazione di copia digitale di queste informazioni. A chiosa del diniego, l'allora dirigente del Servizio Giovanni Giovannini poneva "Esso infatti si configura come un generico interesse a proporre soluzioni efficaci in materia di investimenti di fauna, quasi pretendendo di volersi sostituire all’Ente pubblico nella cura dell’interesse generale.": che era esattamente lo scopo, non desiderato e non cercato, dell'Associazione vista la radicale inefficienza (eventualmente politicamente motivata) del Servizio ad adottare soluzioni di un fenomeno reiterato e scandalosamente annoso”.
Altro caso sollevato dall'Associazione trentina riguarda l'accesso ai dati delle localizzazioni e del numero dei capanni da caccia presenti sul territorio provinciale. “Per tale scopo, - ci ha spiegato Iemma - i soci di WWF Trentino si sono ancora una volta rivolti al Servizio Faunistico, che all’epoca della richiesta rispose con un prosaico “i dati richiesti non sono disponibili poiché non sono denunciati agli uffici dello scrivente Servizio, bensì solamente ai Comuni territorialmente competenti”. In sostanza, il Servizio preposto tra le altre cose alla vigilanza venatoria non conosce precisamente né il numero né le localizzazioni degli appostamenti di caccia fissi: informazione che dovrebbe invece rientrare nella sua piena disponibilità, visto prima di tutto che la legge nazionale sulla caccia prevede che il numero di appostamenti fissi non possa superare quello dell’annata venatoria 1989-1990… Numeri che tuttavia non si conoscono: da qua l’interpretazione secondo la quale l’amministrazione, in veste della sua stessa ignoranza, possa rimanere tale sul fenomeno”. L’Associazione di conseguenza ha chiesto direttamente alla fonte, ovvero ai singoli comuni di tutto il Trentino: “amministrazioni che, contrariamente alle precedenti esperienze, avevano iniziato a rispondere permettendo quindi al WWF di iniziare a tracciare un quadro quantomeno della densità delle varie localizzazioni, almeno fino a quando una circolare del Consorzio dei Comuni, per nulla velatamente indirizzata proprio contro il tentativo di WWF Trentino e con un’interpretazione fantasiosa della legge sull’accesso civico generalizzato, sostenne che le amministrazioni sono tenute a fornire l’accesso esclusivamente ai documenti amministrativi e non anche ai dati. Il tutto giustificato dalla necessità di “salvaguardare l’efficiente e razionale andamento dell’azione amministrativa”. Da quel momento i Comuni hanno smesso di rispondere”.
A quanto pare non siamo i soli a rimbalzare contro il muro di gomma alzato in alcuni casi dagli efficienti Servizi della PAT. Non è una consolazione. Dall'amministrazione prima in Italia per qualità istituzionale ci si aspetterebbe francamente più attenzione e più professionalità, almeno per fugare il dubbio che queste mancate risposte nascondano inefficienza e interessi particolari, non sempre allineati a quelli generali dei trentini.
Alessandro Graziadei
Nessun commento:
Posta un commento