La Cina, che è ancora la seconda economia del mondo, anche se a fatica a causa del Covid-19, soffre dello stesso male di quasi tutti i Paesi più industrializzatii: le culle vuote. Nel 2022 il Pil della Cina è cresciuto del 3% fallendo per la prima volta l’obiettivo fissato dal governo al 5,5%, il risultato peggiore dal 1976. Nel contempo ha fatto registrare un bilancio demografico in passivo. Non accadeva dal 1961, quando il paese pagò il prezzo del fallimentare “Balzo in avanti” industriale ordinato da Mao, che causò milioni di morti per fame. Nel 2022 nella Repubblica popolare sono nati 9,56 milioni di bambini, mentre i morti sono stati 10,41 milioni, il che significa che i morti hanno superato i nuovi nati di ben 850 mila unità per effetto di un calo progressivo delle nascite che secondo gli esperti è ormai irreversibile: 9,56 milioni di figli l’anno scorso rispetto ai 10,6 milioni del 2021, ai 12 milioni di neonati del 2020 e ai 14,6 del 2019. Le proiezioni dei demografi dell’Onu sostengono che entro il 2025 l’India supererà la Cina come nazione più popolosa del mondo e le curve demografiche indicano che il sorpasso indiano potrebbe avvenire già quest’anno.
Secondo uno studio dell’Accademia cinese delle scienze, “dal 2027 inizierà a calare anche la popolazione in età di lavoro, con gravi problemi di natura pensionistica per la popolazione anziana”. Secondo i calcoli delle Nazioni Unite, Pechino (al pari di molti altri Paesi) ha scarse possibilità di rovesciare tale corso: “nei prossimi 30 anni il gigante asiatico perderà 200 milioni di adulti in età da lavoro e si ritroverà con 300 milioni di pensionati in più”. Siamo davanti ad una bomba a orologeria economica e sociale come quella Italiana, solo con “numeri cinesi”. Il dato, come abbiamo ricordato già nel 2021, è parziale, perché riguarda le famiglie registrate nel sistema “hukou”, che vincola l’accesso ai benefici sociali al luogo di residenza ufficiale. Sappiamo che in passato molti cittadini sceglievano di non registrarsi per evitare multe in caso di violazioni dei limiti alle nascite imposti dallo Stato, ma questo calo delle nascite sembra essere particolarmente realistico e i dati forniti da alcune province cinesi, come quelle industriali dell’est e del sud, parlano di una diminuzione anche maggiore, attorno al 30%. La colpa è di scelte politiche precise.
Per molti analisti e attivisti è la conferma del fallimento della politica del figlio unico e il suo allentamento, con la possibilità dal 2015 di avere due figli per famiglia, non ha cambiato in meglio la situazione. Per le coppie cinesi allevare figli comporta rinunce, sacrifici e costa caro. Dalla nascita ai 18 anni, costa a una famiglia cinese 485 mila yuan (67.000 euro circa), vale a dire 6,9 volte il Pil annuale procapite di un cittadino cinese adulto. In questa classifica la Cina è seconda solo alla Sud Corea, che ha il tasso di natalità più basso del mondo. Il dato cinese è ancora più allarmante se si guardano i costi nelle metropoli: un figlio a Pechino costa 969.000 yuan; a Shanghai 1 milione. Ma non è l’unico problema. Rispetto alle maggiori economie mondiali, dove si va in pensione intorno ai 65 anni, in Cina la soglia dell’età per la pensione è molto più bassa: tra 50 e 60 anni, limiti anagrafici e contributivi che risalgono agli anni Cinquanta dello scorso secolo. Per non far esplodere il sistema pensionistico il Governo ha alzato l’età pensionabile, una misura contenuta nel piano quinquennale approvato in modo formale dall’Assemblea nazionale del popolo durante la sua sessione annuale del marzo 2021, ma la decisione non favorirà l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, soprattutto dei tanti neolaureati. Intanto in ordine sparso si avviano incentivi per la natalità e la megalopoli industriale di Shenzhen ha appena annunciato incentivi finanziari per le famiglie che faranno tre figli: fino a 37.500 yuan (5.100 euro). Ma basterà? No!
Entro cinque anni la Cina perderà un numero di lavoratori di poco superiore all’intera popolazione di un Paese come l’Arabia Saudita. Di questo passo alla fine del 2025 i cinesi con più di 60 anni, e quindi in età di pensione, saranno più del 20% degli abitanti. Entro il 2035 si calcola che la fascia dei cinesi ultrasessantacinquenni fuori dal processo produttivo supererà il 30% della popolazione. Ma, soprattutto, di questo passo entro la fine del secolo la popolazione cinese si ridurrà a meno di un miliardo (757 milioni nell’anno 2100 secondo le previsioni più restrittive), mentre quella mondiale raggiungerà gli 11 miliardi, con l’India che da sola conterà su 1,5 miliardi di persone. Intanto, nonostante il Covid-19, il 3% di crescita del Pil nel 2022 significa che il Prodotto interno della Cina è arrivato a quota 121 mila miliardi di yuan, equivalenti a 17.930 miliardi di dollari, un risultato invidiabile, ma la base per una vera ripresa economica non è ancora consolidata, vista la situazione internazionale complicata e la pressione demografica interna che rischia di far diventare anche il futuro della Cina esplosivo dal punto di vista sia sociale che economico.
Il tonfo demografico cinese fa ripensare al lavoro di Darrell Bricker e John Ibbitson, due giornalisti canadesi, autori del libro Pianeta vuoto. Siamo troppi o troppo pochi? (Add editore, 2020) che immaginavano un Mondo “Con un calo implacabile, generazione dopo generazione, della popolazione umana su scala mondiale”. Per i due autori "è sbagliata l’opinione della incontrollata duratura travolgente crescita demografica, più probabilmente raggiungeremo un picco di poco oltre i nove miliardi e poi inizieremo a calare”. Proprio per questo i due autori assegnano un ruolo decisivo, per quanto contingente, alle migrazioni: “una soluzione al problema del declino demografico è compensare con le migrazioni le popolazioni che più vengono a mancare”. Ciò dovrebbe riguardare innanzitutto i Paesi con un tasso di natalità sotto la soglia di sostituzione, quindi la maggior parte di quelli europei. Una soluzione che “non è comunque una soluzione definitiva al problema dell’invecchiamento e del declino della popolazione”. Per questo dalla Cina all'Europa la sfida a politiche che riusciranno a far fronte al declino demografico, economico e sociale è più aperta che mai.
Alessandro Graziadei
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