L’agricoltura modella non solo il nostro paesaggio e la nostra economia, ma anche le nostre vite ed è quindi fondamentale per la salvaguardia della nostra salute. Proprio per questo è indispensabile puntare sempre di più su un modello di sviluppo agricolo sostenibile e sano. Lo stiamo facendo? Il rapporto “Stop pesticidi”, elaborato da Legambiente in collaborazione con Alce Nero a fine 2022 ha fatto il punto della situazione sui fitofarmaci presenti negli alimenti che ogni giorno arrivano sulle tavole degli italiani. Ebbene? “Su 4.313 campioni di alimenti di origine vegetale e animale analizzati, nonostante la bassa percentuale di campioni illegali, quindi con principi attivi oltre le soglie consentite, pari all’1% (in lieve diminuzione rispetto all’anno precedente), solo il 54,8% del totale dei campioni risulta senza residui di pesticidi” e “nel 44,1% di campioni sono state trovate tracce di uno o più fitofarmaci, tra monoresiduo (14,3%) e multiresiduo (29,8%), seppur nei limiti di legge”. Un’odissea tra i pesticidi non proprio rassicurante per le scelte alimentari che faremo quest’anno.
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Cosa evitare? In linea con il trend degli anni passati, la frutta si conferma ancora una volta la categoria più colpita con almeno uno o più residui nel 70,36% dei campioni, contro il 28,27% senza residui. Le tipologie più colpite sono pere, uva (e quindi a cascata il vino) e pesche. Nel 91,67% dei campioni di pere analizzati, ad esempio, sono stati rilevati fino a 22 diverse categorie di fitofarmaci tra cui Acetamiprid (14,2%) e Boscalid (12,5%), percentuali rimaste invariate dal 2020. Nel 88,3% dell’uva analizzata è stata rinvenuta la presenza di almeno un pesticida. Un trend in aumento rispetto allo scorso anno, con una percentuale di multiresiduo superiore al monoresiduo con alcune “eccellenze”: un campione di uva con 14 residui, uno di pere con 12 residui, uno di peperoni con 10 residui e uno di fragole proveniente dall’Unione europea con 35 diversi residui! Nei piccoli frutti si segnala la percentuale più alta di irregolarità, il 5,9%, a causa del superamento del limite massimo di residuo. La verdura offre un quadro migliore: “il 65,5% dei campioni analizzati risulta senza residui e solo il 33,3% dei campioni risulta invece contenente uno o più pesticidi”. I più contaminati sono i peperoni con circa 38 categorie di fitofarmaci diverse, tra cui l'Fluopyram revocato dal mercato nel 2020, con un massimo di 10 residui nello stesso campione. Ai peperoni seguono i pomodori con 55% di campioni con almeno un pesticida.
Tra i pesticidi più presenti e quindi persistenti troviamo in ordine decrescente: Acetamiprid, Boscalid, Fludioxonil, Azoxystrobina, Tubeconazolo e Fluopyram oltre ai residui di fitofarmaci revocati dal mercato dal 2020 come il Thiacloprid trovato in 2 campioni di miele, in 1 pesca e in 1 mela, o il Imidacloprid rinvenuto in 34 campioni tra albicocche, arance, banane, carciofi, mandarini, peperoni, uva e pomodori. A lasciare increduli sono anche i residui di DDT, vietato dal 1978, e trovato in 2 campioni di derivazione animale (tessuto adiposo di cavallo e di bovino). Si salva il biologico che almeno nel 91,1% dei campioni risulta regolare e senza multiresiduali, mentre per i campioni con un solo residuo, la percentuale si attesta intorno al 5,4%, dato probabilmente legato al cosiddetto effetto deriva, dovuto a coltivazioni convenzionali limitrofe. Per quanto riguarda il miele, nel 67,5% dei campioni non sono stati riscontrati residui, mentre 2 campioni sono, invece, risultati irregolari a causa del superamento del limite di fitofarmaci. I più frequenti risultano il pericoloso erbicida Glifosato il Dimethylphenyl, la Formamide e l'Amitraz, ma il rapporto segnala anche la presenza di due neonicotinoidi: il Thiacloprid (revocato dal mercato essendo stato classificato come interferente endocrino) e l’Acetamiprid ancora permesso, ma i cui effetti causano pesanti ripercussioni sulla salute delle api. Secondo Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente, “Dai dati rilevati emerge chiaramente la necessità di intraprendere la strada dell’agroecologia con ancora più determinazione, mettendo in atto, in maniera convinta e senza tentennamenti, quanto stabilito dalle direttive europee Farm To Fork e Biodiversity 2030. Con l’approvazione della legge sul biologico indubbiamente è stato fatto un importante passo in avanti. Adesso, serve passare dalla teoria alla pratica, affinché quel traguardo non risulti solo una bandierina, ma un patrimonio per l’intero settore”.
Come? Servono meccanismi incentivanti e l'applicazione stringente delle norme, stando alla larga da eventuali ipotesi di deroghe all’utilizzo di specifici fitofarmaci, come purtroppo sta avvenendo con il Glifosato. Fondamentale sarebbe approvare il regolamento per l’utilizzo dei fitofarmaci presentato ancora lo scorso 22 giugno dalla Commissione europea e che prevede obiettivi di riduzione dell’uso dei pesticidi legalmente vincolanti per gli Stati membri, regolamento oggi a rischio a causa di continue richieste di rinvii da parte di alcuni Paesi dell'Unione tra cui l’Italia. Occorre inoltre aumentare significativamente le aree coltivate a biologico che rappresentano un metodo efficace per ridurre gli input negativi in agricoltura. Secondo il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti, il nostro Paese sul biologico si sta dimostrando un esempio virtuoso per l’intera Europa con il raggiungimento della quota del 17,4% di superficie agricola già coltivata con metodo biologico: “Ora è necessario un impegno più incisivo, considerando la richiesta dell’Unione europea di raggiungere un taglio dell’uso del 62% dei pesticidi entro il 2030. Il nuovo governo prosegua nel solco tracciato e permetta davvero, come previsto anche dalla nuova nomenclatura del Ministero, al made in Italy sano e pulito di divenire apripista del cambiamento”. Da una parte la politica, dall’altra i cittadini, chiamati anch’essi a fare la loro parte. Per Erika Marrone, direttrice qualità, ricerca & sviluppo di Alce Nero, “Anche per i consumatori è sempre più chiaro il legame esistente tra agricoltura, cibo e salute dell’ambiente e delle persone. Proprio questo ci aiuta a pensare in modo più consapevole a quanto sia cruciale oggi la transizione a modelli produttivi alternativi; tra questi l’agricoltura biologica e le diverse forme di agro-ecologia costituiscono oggi una risposta concreta e scientifica non solo alla questione climatica, ma anche alla mitigazione dei rischi per la salute dei consumatori derivanti, soprattutto, dell’esposizione cronica alle molecole chimiche capaci di alterare tanto gli ecosistemi quanto gli equilibri del nostro organismo fin dalla vita intra-uterina”.
I traguardi fissati dalla strategia Farm To Fork e la nuova legge sul Biologico sono segnali importanti, ma per ora non ancora sufficienti per un più radicale cambiamento nell'agricoltura italiana già da questo 2023.
Alessandro Graziadei
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