sabato 8 aprile 2023

Dall’armadio alla discarica?

In Italia dal 1 gennaio 2022 è obbligatorio raccogliere separatamente i rifiuti tessili, come previsto dal decreto legislativo n.116/2020A livello europeo, tuttavia, la raccolta differenziata di questa tipologia di rifiuto diventerà obbligatoria solo entro il 2025anche se il rapido aumento tra i rifiuti e nelle esportazioni dei vestiti usati dai cittadini dell’Unione europea, mostra che l’Europa deve affrontare urgentemente il problema, cambiando il modo di gestire i propri tessuti usati e facendo i conti con una “fast fashion” che ne produce a dismisura. Infatti, secondo il nuovo rapporto “EU exports of used textiles in Europe’s circular economy”, pubblicato lo scorso 27 febbraio dall’European topic centre of circular economy and resource use (ETC/CE) dell’European Environment Agency (EEA), “I prodotti tessili di scarto in Europa, compresi gli indumenti e le calzature usati, rappresentano un crescente problema di rifiuti e di esportazione”. Secondo lo studio dell’EEA che ha esaminato i modelli e i trend delle esportazioni dell’Unione dei tessili usati dal 2000 al 2019, la quantità di tessili usati esportati è triplicata negli ultimi due decenni, "Passando da poco più di 550.000 tonnellate nel 2000 a quasi 1,7 milioni di tonnellate nel 2019". La quantità di tessili usati esportati nel solo 2019 "È stata in media di 3,8 chilogrammi a persona, ovvero il 25% dei circa 15 kg di tessili consumati ogni anno nell’Unione”. È chiaro che l’Europa deve affrontare grandi sfide nella gestione dei tessili usati, Poiché le capacità di riutilizzo e riciclaggio in Europa sono limitate, e un’ampia quota di indumenti e altri prodotti tessili scartati e donati viene esportata in Africa e Asia.  Ma le percezioni pubbliche comuni, secondo cui le donazioni di abbigliamento usato sono sempre utili in quelle regioni, non riflettono la realtà”. 


Per gli autori del rapporto EEA “Una volta esportati, il destino dei tessili usati è spesso incerto e non sempre vengono riciclati, diventando rifiuti in paesi terzi”. Per questo nella strategia dell’Unione sui tessili sostenibili e circolari, pubblicata nel marzo 2022, si menziona specificamente “La necessità di affrontare le sfide derivanti dalle esportazioni”. Anche le fibre a base biologica utilizzate nell’abbigliamento e in altri prodotti tessili, che sono spesso considerate alternative più sostenibili, per il ETC/CE Report 2023/5 “The role of bio-based textile fibres in a circular and sustainable textiles system” non ne giustificano un consumo illimitato, visto che “Sebbene le fibre a base biologica offrano il potenziale per allontanarsi dai tessuti sintetici realizzati in plastica (principalmente derivati da petrolio e gas), causano altre pressioni ambientali, tra cui l’uso di acqua e suolo legati alle attività agricole, la deforestazione e la lavorazione delle fibre”. Inoltre, il rapporto ricorda bene che “La loro origine biologica non li esonera dalle preoccupazioni ambientali legate alle microfibre, ai rifiuti e alla riciclabilità”. Anche per questo nel corso del 2023 dovrebbe vedere la luce l’attesa strategia europea sul tessile, cui dovrebbe seguire l’introduzione della responsabilità estesa del produttore (Extended Producer Responsibility - Epr) anche per i prodotti tessili. L’obiettivo dell’Epr è quello di assegnare al produttore la responsabilità del prodotto immesso sul mercato anche nella fase di post consumo, attribuendogli “La responsabilità finanziaria e operativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto, incluse le operazioni di raccolta differenziata, di cernita e di trattamento. Tale obbligo può comprendere anche la responsabilità organizzativa e la responsabilità di contribuire alla prevenzione dei rifiuti e alla riutilizzabilità e riciclabilità dei prodotti”. 


Sarebbe un gran bel traguardo. Intanto una delle strade per il riciclo chimico, quello che permette di spezzare la struttura chimica dei rifiuti fino ad arrivare alle molecole che li compongono per produrre nuovi prodotti o carburanti sostenibili, è arrivata a un punto di svolta a Chieti, nel Parco tecnologico d’AbruzzoQui la NextChem, società della multinazionale italiana Maire Tecnimont, ha appena ultimato la realizzazione del primo impianto dimostrativo in Italia di riciclo chimico di Pet e poliestere da tessuti, nell’ambito del progetto Demeto (Modular, scalable and high-performance DE-polymerization by MicrowavE TechnolOgy) co-finanziato dal programma dell'Unione Horizon 2020L’impianto adotta una tecnologia di depolimerizzazione basata sulla reazione di idrolisi alcalina con utilizzo delle microonde, che permette di riciclare chimicamente il Pet e il poliestere presenti nelle fibre tessili di scarto, scindendo questi composti nei loro componenti (glicole etilenico e acido tereftalico) in modo da ottenere monomeri puri da utilizzare nei processi industriali per produrre nuovi polimeri, e rientrare così nel ciclo produttivo. Diverse tipologie di materiali, incluse le fibre tessili a base poliestere, saranno testate quest’anno nell’impianto, che sembra in grado di riciclare quasi il 100% del materiale in entrata, pari 1.000 tonnellate all’anno. “Siamo molto orgogliosi di aver realizzato questo impianto, primo nel suo genere in Italia e tra i primi in Europa, in particolare in un momento in cui si stanno iniziando a creare, in Italia come negli altri Paesi europei, sistemi nazionali di raccolta e riciclo dei rifiuti tessili, – aveva dichiarato l’ad di Maire Tecnimont e NextChem – Siamo convinti che questa tecnologia possa dare molti frutti in futuro per realizzare compiutamente un modello di economia circolare a scala industriale”. 


Anche se si stanno facendo notevoli passi avanti, per ora la strada della sostenibilità ambientale e sociale nel mondo dell’abbigliamento rimane un traguardo volontario raggiunto da pochi. Se Brunello Cucinelli in Italia sta facendo scuola, chi per decenni c’è riuscito è stato Yvon Chouinard il fondatore di Patagonia, marchio che dal 1973  ha messo la sostenibilità e i diritti dei lavoratori al centro della sua idea di abbigliamento. Lo scorso settembre il grande e definitivo salto. L'83enne leggenda dell'alpinismo americano e la sua famiglia hanno ceduto  l’iconico marchio dell'outdoor, trasferendo le loro azioni, valutate circa 3 miliardi di dollari, a un fondo ad hoc: il Patagonia Purpose Trust e a Holdfast Collective un'organizzazione no-profit. Entrambe sono state create per preservare l'indipendenza della compagnia e garantire che tutti i suoi profitti (circa 100 milioni l'anno) siano usati interamente per combattere il cambiamento climatico e proteggere l’ecosistema. Da adesso “La Terra è il nostro unico azionista” ha dichiarato per l'occasione Chouinard. Dai primi dadi utilizzati per l’arrampicata negli anni Settanta, alla casa in cui abita, passando per i suoi vestiti, Chouinard ha deciso di non lasciare impronte ecologiche. Ne lascerà una enorme nella storia dell’imprenditoria sostenibile.


Alessandro Graziadei

 

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