Negli scorsi mesi, prima l'amministrazione degli Stati Uniti, poi quella dell'Europa dal 4 luglio, hanno rimodulato e rinforzato i dazi sulle auto elettriche cinesi. L’Unione europea in particolare ha dichiarato che per per proteggere i produttori del proprio mercato automobilistico da questa concorrenza “sleale” imporrà tariffe, dal 26% fino al 48%, a seconda dei marchi, su tutti veicoli elettrici importati dalla Cina. Ma come siamo arrivati a questo protezionismo dal sapore d'altri tempi? A partire dagli anni ’90 del secolo scorso la Cina ha deciso di promuovere investimenti per lo sviluppo di tecnologie che si sono rivelate essenziali per lo sviluppo dei veicoli elettrici ed i piani economici che si sono succeduti hanno continuato nel tempo ad ampliare i finanziamenti e gli incentivi per sviluppare tecnologie rinnovabili. Come ha evidenziato in un report l'Osservatorio Nazionale Automotive il successo cinese in questo campo, al netto delle criticità che un mercato dell'auto elettrica sempre più grande genera a livello globale, è stato ben pianificato: “Nel 2017 il Ministero dell'Industria e della Tecnologia dell'Informazione (MIIT), il Comitato Nazionale per lo Sviluppo e la Riforma (NDRC), il Ministero della Scienza e della Tecnologia (MOST) hanno emesso congiuntamente il "Piano di Sviluppo a medio e lungo termine per l'Industria dell'Auto", con l'obiettivo di accrescere il ruolo della Cina come potenza automobilistica”. Successivamente “Nel 2020 il Consiglio di Stato ha presentato il “Piano di sviluppo dell'industria dei veicoli a nuova energia (2021-2035)” con il quale viene delineata la strategia nazionale per un futuro automobilistico sostenibile con emissioni ridotte (portare nel 2025 le vendite di veicoli elettrici a circa il 20% di quelle totali per superare il 50% delle nuove vendite entro il 2035), mentre il Ministero della Scienza e della Tecnologia con il piano quinquennale 2021-2025 ha confermato la strategia di sviluppo verso la “trazione elettrica pura”, concentrando gli investimenti in attività legate alla catena del valore interna del Paese favorendo altresì l’emergere di imprese competitive a livello internazionale”.
Il risultato è che oggi la Cina è diventata il più grande mercato di veicoli al mondo e soprattutto la patria dell’auto elettrica. La produzione di automobili full elettric ha raggiunto le 5,5 milioni di vendite già nel 2022, coprendo da sola quasi la metà di tutte le immatricolazioni globali e lo scorso anno ha raggiunto addirittura il 60% della quota mondiale delle vendite, con 14 milioni di immatricolazioni. Come se non bastasse, mentre noi in Europa e soprattutto in Italia pensiamo al protezionismo e a qualche incentivo a pioggia anche su automobili dal costo proibitivo, (invece di incentivare tutta la filiera circolare elettrica a cominciare dagli aspetti più critici, come il recupero delle batterie che eviterebbero il saccheggio di materie prime e di metalli critici), a febbraio 2023 il MIIT e altri otto dipartimenti hanno emesso un avviso finalizzato alla realizzazione di un progetto pilota inerente all’elettrificazione dei veicoli del settore pubblico nel periodo 2023-2025 (obiettivo: 80%). Sono previste anche azioni di sostegno all’innovazione e alla capacità infrastrutturale inerente alla produzione e conservazione dell’energia per accelerare la ricerca di tecnologie chiave per l'accumulo energetico e tecnologie applicative per l'accumulo di idrogeno verde. La Cina inoltre ha incoraggiato l’internazionalizzazione dell’industria automobilistica e supporta l’export delle sue produzioni anche promuovendo azioni di collaborazione che vedono coinvolte le compagnie di navigazione, il sistema bancario, e altri settori strategici che hanno permesso alle esportazioni di auto elettriche di passare da 170.000 unità nel 2017 a 1,12 milioni di unità nel 2022, delle quali oltre 500.000 verso l’Europa.
Per Umberto Bertelè, professore emerito al Politecnico di Milano la debole domanda interna della Cina sta spingendo il Paese ad esportare sempre di più: “La debolezza della domanda interna dovuta in larga misura alla bolla immobiliare e il timore che gli effetti di medio-lungo termini potessero essere simili a quelli della bolla giapponese degli anni ’90 – che sprofondò un Paese all’epoca ai vertici dell’economia mondiale in una crisi profonda e in una deflazione di durata almeno ventennale – ha spinto il governo cinese a tornare a puntare sull’export e a investire pesantemente perché questo potesse avvenire”. Lo sfruttamento delle opportunità di mercato legate alla transizione ambientale è stata sicuramente una delle grandi scommesse vinte della Cina, con un mix di azioni: “Da quelle geopolitiche per assicurarsi il controllo delle materie prime più indispensabili per la transizione, alla promozione dell’innovazione (CATL è ad esempio ora leader mondiale nel comparto delle batterie), alla promozione della domanda interna (che ha spinto la concorrenza con un effetto positivo sulle economie di learning), ai sussidi all’export in senso più proprio. Il successo nei pannelli solari è stato travolgente, quello nelle pale eoliche è in fase avanzata e ora è il momento delle auto elettriche (il “boccone” principale”), dove – occorre dirlo – le imprese europee e statunitensi (Tesla a parte) si sono convinte solo tardi della serietà della minaccia e quelle giapponesi e sud-coreane hanno scommesso più sull’ibrido e sull’idrogeno”.
Anche sul mercato interno un programma decennale di sovvenzioni nazionali ha regalato agli automobilisti un rimborso di 60.000 yuan (quasi 7.450 euro) sul prezzo della loro vettura elettrica e anche se adesso il bonus governativo è stato ritirato, alcune amministrazioni locali come Shanghai continuano a elargire sconti fino a 10.000 yuan (circa 1.250 euro). Nel contempo Pechino ha eliminato la tassa del 10% sull’acquisto di veicoli verdi con listino inferiore ai 300.000 yuan (poco più di 37.000 euro), un’agevolazione valida fino al 2025 e che passerà al 5% nel biennio 2026-2027. La Cina può inoltre vantare, cosa che in Italia è ancora lontana dall'essere realizzata, una rete di ricarica diffusa e con standard validi su tutto il territorio. Significa che le colonnine hanno le stesse prese e possono essere utilizzate da ogni automobilista, tanto che a maggio, il Paese contava 6,36 milioni di stazioni di ricarica, la percentuale più alta al Mondo. Anche i punti di ricarica sono stati installati grazie a incentivi statali mentre molte amministrazioni locali imponevano limiti alla circolazione delle auto termiche, potenziando la conversione all’elettrico di autobus e taxi. Dazi permettendo, adesso Pechino si gode le ricadute dei suoi incentivi rinnovabili e dalla sua lungimiranza.
Alessandro Graziadei
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