sabato 9 novembre 2024

C'è ancora un'Italia nucleare?

 

Mentre in Giappone veniva riattivato il reattore due della centrale nucleare di Onagawa nell’area di Fukushima, 13 anni dopo il disastro e dopo un importante aggiornamento della sicurezza, in Italia il 25 ottobre scorso Emanuele Orsini, neo presidente di Confindustria, si sbilanciava in un suo intervento all’assemblea generale “Facciamo il futuro. Brindisi”, annunciando che oggi “il nucleare di terza generazione, non è più quello di prima e seconda generazione, ma quello dei piccoli reattori modulari Smr”, una soluzione energetica considerata da Orsini "concreta" per venire incontro alle esigenze energetiche del Belpaese, grazie anche alla buona volontà di molti industriali, pronti “A trovare la location ai reattori all’interno delle nostre industrie. [...] Capisco che per un sindaco trovare un posto [per un reattore nucleare] sia complicato: ve li troviamo noi i posti” ha dichiarato un Orsini fiducioso nelle magnifiche sorti e progressive dell'atomo civile, al punto tale da annunciare “Che presto verrà costituita una società dove capofila ci saranno Enel, Ansaldo e Leonardo. Io credo che questo sia il primo passo ed è una cosa positiva, perché vuol dire investire in questo Paese nel nucleare”. Di una società italiana con partnership tecnologica straniera per produrre i reattori di terza generazione aveva già parlato a settembre il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, mentre in ottobre lo aveva fatto anche il titolare del Ministro dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica Pichetto Fratin che aveva auspicato “Una catena del valore che graviti intorno a un soggetto industriale nazionale di riferimento, di dimensioni e competenze opportune, che si interfacci alla pari con i Paesi europei e internazionali e che preveda gran parte della catena produttiva [nucleare] non solo italiana, ma realizzata in Italia”.

Così ancora una volta la politicaa braccetto con una parte del mondo industriale, torna a sventolare la bandiera dell'atomo indifferente all'esito di due referendum popolari (1987 e 2011), alle devastanti conseguenze di eventuali incidenti (non solo per via di errori umani, ormai quasi impossibili grazie alla tecnologia, ma pensiamo a catastrofi naturali come i terremoti o i maremoti, i fenomeni atmosferici estremi, le guerre, gli attentati...), all’esperienza non proprio felice con i pochi Smr in funzione che dimostra che i reattori continueranno a costare molto di più del previsto e a richiedere molto più tempo per essere costruiti rispetto a quanto promesso dai proponenti, alla non rinnovabilità dell'Uranio, alle miniere presenti per lo più in Paesi non sempre governati da democrazie (vedi Russia, Kazakistan, Niger, Uzbekistan...) e all'annoso problema dello stoccaggio delle scorieproblema che abbiamo già toccato quest'anno, e non di poco conto. In Italia, infatti i rifiuti radioattivi, finora prodotti dagli ospedali e principalmente dalla nostra precedente esperienza “nuclearista” chiusa dal referendum del 1987 e durata dal 1963 al 1990 sono stati portati all’estero o sono ancora custoditi in depositi “temporanei”, ma non hanno mai potuto confluire in un Deposito Nazionale per permettere lo stoccaggio in sicurezza e in via definitiva, visto che non si è mai trovato un posto dove costruirlo. Dopo anni di attesa, lo scorso 14 dicembre il Ministero di Frattin ha ri-pubblicato l’elenco delle aree presenti nella Carta Nazionale delle Aree Idonee (CNAI), che individua le zone dove realizzare in Italia il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e il Parco Tecnologico per permetterne lo stoccaggio definitivo offrendo anche ad altri Comuni italiani la possibilità di proporsi quale futura area di stoccaggio. Il risultato è stato che nessuno si è fatto avanti spontaneamente ed i Comuni già individuati come aree idonee hanno mostrato una netta contrarietà alla localizzazione sul proprio territorio degli impianti.

Secondo Legambiente poi, “Sulla questione aree idonee ad ospitare il Deposito nazionale delle scorie nucleari, ancora una volta si è fatto il solito pasticcio all’italiana” perché sarebbe “Assurdo prevedere la possibilità di autocandidature anche da parte dei Comuni non compresi nella CNAI”. La possibilità di questo tipo di “autocandidatura” lascia, infatti, molto perplessi perché ipotizza un percorso poco rigoroso e poco attento alla sicurezza dei cittadini, che finirà per allungare inevitabilmente i tempi per l’individuazione del Deposito, che invece rappresenta (anche senza una prossima svolta nuclearista) una vera urgenza per la sicurezza di tutto il Paese. Se attualmente un Deposito nazionale per lo stoccaggio di rifiuti radioattivi è un'esigenza, lascia molto più perplessi la scelta di tornare ad investire su un'energia che dopo gli incidenti nucleari di Three Mile Island (1979), Chernobyl (1986) e Fukushima Daiichi (2011), tra la società civile di molti Paesi del mondo, soprattutto tra i membri occidentali dell’OCSE, ha portato ad un crescente disinteresse e, talvolta, anche un’aperta ostilità certificata in Italia da due scelte referendarie. Basterebbe questo, ma in aggiunta sappiamo che gli alti costi di investimento per la costruzione dei nuovi impianti e le incertezze legate alle tempistiche si riflettono in oneri per l’energia prodotta che superano anche i 200-250 euro per MWh (MegaWatt per ora), quando il prezzo dell’energia elettrica prodotta in Europa con le fonti rinnovabili solare ed eolica è spesso compreso fra i 50 e i 70 euro per Mwh.

Attualmente l’opzione nucleare è stata proposta e decisa dal Governo, inserita nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima e confermata da una mozione della Camera dei Deputati del mese di maggio 2023. Con decisione del Ministro per l’Ambiente e la Sicurezza Energetica del 21 settembre 2023 sono stati organizzati una Piattaforma nazionale per un nucleare "sostenibile" e Gruppi di lavoro sull’energia nucleare da fissione e da fusione che dovrebbero proporre un percorso (“road map”) con tappe da raggiungere e tempi da rispettare. Ma è evidente che i tempi dipendono dalle tecnologie a cui si vuole fare riferimento. Secondo Sergio Garriba coordinatore per l’Energia nella European Union Strategy for the Adriatic and Ionian Region (EU-SAIR) “Le opzioni tecnologiche disponibili per dare un futuro credibile all’energia nucleare di certo non mancano. La guerra in Ucraina ha dato un’accelerata a dibattito e progetti, riflessa dalla corsa del prezzo dell’uranio. Resta però altamente incerta la capacità delle soluzioni in campo di rispondere in tempi brevi e con costi contenuti alle esigenze della transizione verde, della sicurezza energetica e della competitività. Diversi ostacoli devono essere superati: complessità tecnica dei progetti, carenza di personale qualificato, regolamentazione rigorosa e scetticismo della popolazione (per lo meno in alcuni Paesi) nei confronti di tale fonte di energia. In un mondo caratterizzato poi dall’accesa competizione geopolitica tra Cina, Russia e Occidente e dall’ascesa di nuovi attori internazionali, il Rinascimento nucleare rischia di diventare l’ennesimo dossier scottante”.

Di fatto i reattori di cui fantasticano Governo e Confindustria, ricordiamo, sono impianti che potrebbero entrare in funzione non prima del 2035 o 2040, sempre che i prototipi si dimostrino fattibili, cioè quando la quota di copertura energetica delle rinnovabili elettriche (che abbiamo visto ha già costi più bassi delle fonti convenzionali attuali) sarà tra l’80 e il 90%. Non solo. Lo sviluppo del nucleare in Italia potrebbe avvenire solo ad una serie di condizioni: che non sia nuovamente bloccato da un referendum, che ci siano fondi statali per sussidi molto generosi da far realizzare gli impianti e che il problema della localizzazione si riveli davvero così banale come lo prospetta Orsini, una cosa di cui è lecito dubitare guardando a quel che è accaduto e accade per la geolocalizzazione del Deposito nazionale per le scorie. Che sia anche il nucleare l'ennesimo italico ponte sullo stretto?

Alessandro Graziadei

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