martedì 23 dicembre 2025

Una nuova dieta planetaria...

Salute, clima ed equità. Sono queste le grandi variabili strettamente legate al nostro regime alimentare, visto che il cibo che consumiamo ogni giorno determina la nostra salute, la nostra impronta ecologica e nel contempo i diritti degli individui. Ma esistono dei criteri che definiscano scientificamente cosa significa “mangiare bene” per noi, per una società equa e sostenibile? Sì, è la Planetary Health Diet (Phd)una guida universale per nutrirsi in modo sano, equo e rispettoso dei limiti ecologici della Terra elaborata dalla Eat–Lancet Commission on Healthy, Sustainable and Just Food Systems 2025. Questa nuova “dieta planetaria” è fondata principalmente su cereali integrali, frutta, verdura, legumi, semi e frutta secca, con un consumo moderato di latticini, pesce e pollame, e quantità molto ridotte di carne rossa, zuccheri e grassi saturi. Per gli autori e le autrici non si tratta di “Una dieta vegetariana in senso stretto, ma di una transizione verso un modello prevalentemente vegetale, in cui le proteine animali vengono ridimensionate a favore di fonti più sostenibili”. Un’alimentazione in linea con la Phd comporterebbe “Circa 2.500 kcal al giorno, di cui oltre la metà provenienti da alimenti vegetali. Il consumo di carne rossa dovrebbe ridursi a 14 grammi al giorno, quello di pesce a 28 grammi, mentre frutta e verdura dovrebbero rappresentare almeno 500 grammi complessivi quotidiani”. Queste proporzioni, chiaramente adattabili ai diversi contesti culturali e alle caratteristiche di età, genere e metabolismo delineano un equilibrio che dovrebbe tutelare sia la salute umana, sia quella degli ecosistemi ambientali e sociali.

Iniziamo dalla salute. Secondo gli scienziati di Lancet “Oggi oltre il 30% delle patologie croniche, dal diabete alle malattie cardiovascolari, è riconducibile a regimi alimentari sbilanciati”, e “Un cambiamento globale e radicale delle diete potrebbe prevenire fino a 15 milioni di morti premature ogni anno, pari a oltre un quarto dei decessi totali nel Mondo”. Gli studi epidemiologici alla base di questa guida mostrano che le diete più vicine alla Phd riducono significativamente il rischio di malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, alcuni tumori e la demenza, tanto che chi segue regimi alimentari più vegetali e meno ricchi di prodotti ultra-processati vive mediamente più a lungo e in migliori condizioni di salute. Ma la sfida alimentare non riguarda solo quanto mangiamo, bensì come e cosa assumiamo ogni giornoIl lavoro di Lancet evidenzia, infatti, il cosiddetto “triplice fardello della malnutrizione”: carenze nutrizionali, eccesso calorico e mancanza di micronutrienti che spesso convivono nella stessa popolazione, o persino nello stesso individuo. “In molti Paesi a basso reddito, milioni di persone non raggiungono livelli minimi di ferro, zinco, vitamina A e acidi grassi essenziali, con conseguenze dirette sulla crescita infantile, sullo sviluppo cognitivo e sulla produttività. All’opposto, nelle economie più ricche, la diffusione di diete ipercaloriche e povere di nutrienti sta alimentando un’epidemia silenziosa di obesità, diabete e malattie cardiovascolari”.

Ma il dettagliato lavoro della Eat–Lancet Commission sottolinea che l’attuale sistema alimentare è insostenibile non solo dal punto di vista sanitario, ma anche ambientale. “La produzione di cibo è, infatti, responsabile di circa un terzo delle emissioni globali di gas serra, contribuisce alla perdita di biodiversità e all’uso eccessivo di risorse naturali come acqua e suolo. In particolare, le produzioni animali occupano l’80% dei terreni agricoli, ma forniscono meno del 20% delle calorie globali”. Questo è un paradosso che pesa sull'ambiente visto che l'allevamento intensivo finisce per provocare ogni anno oltre 650mila morti per inquinamento atmosferico e generare un quarto delle emissioni di metano legate alle attività umane. A questi devastanti impatti ambientali si aggiunge quello della resistenza antimicrobica: “L’uso sistematico di antibiotici negli allevamenti industriali rende i microrganismi più resistenti e le infezioni che ne conseguono molto più difficili da curare, un problema responsabile di 1,4 milioni di decessi annui”. Infine secondo gli esperti e le esperte, anche l’inquinamento delle acque da fertilizzanti e pesticidi ha ormai superato i limiti di sicurezza in vaste aree del pianeta, mettendo a rischio la salute delle comunità agricole e urbane.

Alla luce di questi dati, secondo la Eat–Lancet Commission, oggi “Nessuna strategia climatica sarà efficace senza una trasformazione profonda dei sistemi alimentari, perché anche una completa transizione energetica non basterebbe a contenere il riscaldamento globale se non cambieranno produzione e consumo di alimenti”. Un consumo che per gli scienizati deve essere anche “giusto”, visto che i dati raccolti mostrano come “Il 30% più ricco della popolazione mondiale è responsabile di oltre il 70% dell’impatto ambientale legato al cibo, mentre le comunità più povere sono quelle che soffrono maggiormente malnutrizione e scarsità di accesso”. Anche per questo una “transizione alimentare” non può riguardare solo le scelte individuali, ma anche le politiche pubbliche: “Servono investimenti in educazione alimentare, incentivi alla produzione sostenibile, riforme fiscali eque e norme che riducano il potere di pochi grandi attori dell’industria agroalimentare”. Come ricorda Johan Rockström, co-presidente della Commissione e direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research: “La salute delle persone e quella del pianeta sono due dimensioni inseparabili. Il modo in cui produciamo e consumiamo cibo deciderà non solo quanto vivremo, ma in che tipo di Mondo vivranno le prossime generazioni”.

Anche per venire incontro a queste raccomandazioni l'European academies science advisory council, (Easac) ha da poco pubblicato un dettagliato rapporto completo sulle alternative alla carne. Redatto dopo numerose riunioni svoltesi in seno al Comitato per le bioscienze e la salute pubblica dell'Easac tra il 2022 e il 2025, il rapporto offre ai responsabili politici (attualmente in ritardo rispetto agli sviluppi scientifici e tecnologici), una tabella di marcia basata su dati scientifici per bilanciare gli impegni climatici, la salute pubblica e la resilienza del sistema alimentare.  Per Bert Rima, presidente del gruppo di lavoro composto da esperti nominati dalle accademie scientifiche europee “L'Unione europea deve agire ora se vuole rimanere all'avanguardia nella transizione proteica, garantire la sicurezza alimentare e raggiungere i suoi obiettivi in materia di clima e biodiversità. Dovrebbe creare politiche che sostengano l'innovazione nel campo delle alternative alla carne, garantendo al contempo la sicurezza alimentare e la protezione dei consumatori”. Insomma è auspicabile ed urgente che le future generazioni europee crescano con meno carne nei loro piatti, e questo sarà sia necessario che vantaggioso, visto che le diverse alternative alla carne hanno potenzialmente un impatto ambientale inferiore rispetto alla carne convenzionale e forniscono egualmente fonti proteiche efficienti. 

Certo alcuni prodotti vegetali trasformati possono contenere sale e grassi saturi in eccesso, per questo non solo la naturalezza, il gusto, e l'accessibilità economica sono importanti, ma serve investire in cultura alimentare e un'etichettatura chiara per conquistare la fiducia dei consumatori. Le popolazioni più giovani e urbane sono più aperte alle alternative, in particolare quelle attente al benessere degli animali e al cambiamento climatico. Ma per Hanna Tuomisto, professore di sistemi alimentari sostenibili e coautrice del rapporto “Abbiamo bisogno di piena trasparenza, non solo sugli ingredienti, ma anche sull'impatto ambientale e sulla lavorazione”. È inoltre essenziale fornire delle indicazioni chiare sull'integrazione delle alternative alla carne in diete equilibrate, combattendo così la disinformazione e creando un quadro positivo per l'innovazione, la ricerca e lo sviluppo. “L'Europa dispone degli strumenti e della capacità di innovazione necessari per assumere un ruolo di leadership a livello globale, ma non bastano le soluzioni tecnologiche. Il successo della transizione verso proteine sostenibili dipenderà dalla sua definizione sociale e politica. Senza un'azione coordinata, rischiamo di perdere sia i benefici ambientali che la fiducia del pubblico” ha concluso la Tuomisto.

Alessandro Graziadei

Nessun commento:

Posta un commento